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Commento 6257 di pietro marcozzi del 19/05/2008


SEMPRE IN RITARDO
Ebbene si, ci estinguiamo. Il nostro un paese dove tutto sembra spegnersi; lentamente.
L'agonia culturale piu' lunga e travagliata di questi ultimi due secoli.
E non basta. Le maglie della globalizzazione ci stanno pian piano avviluppando nella fittissima e spregiudicata ragnatela, coma la mosca ed il ragno ed alla fine, tutti divorati vivi tra atroci e lancinanti dolori.
Mangiati ed ancora vivi. Certo, perche' non baster essere mangiati. Ci toccher sentire il digrignare delle fauci avventate sulle nostre carni. Gli altri? Proprio quelli che credono nelle opportunit benpensanti del mondo globale che ne pensano?
Tutto bene, l'Italia ce la fara': baster guardare in giro la modernita' che filosoficamente l'intellighenzia esprimer per noi tutti; l'apertura mentale che sgorga come acqua fiorente e cristallina dalle fonti intellettive di chi conosce il mondo reale, ci saziera' in ogni dove.
Grazie a Dio, abbiamo chi pensa per noi.
Intanto il mondo corre; corre cosi' velocemente che il povero sprovveduto, sfinito dalle difficolt e dai problemi quotidiani, finalmente, comincia a vedere la meta. Si accorger presto che tutto il resto stato drammaticamente spostato piu' avanti.
Allora mi domando, la lentezza di cui siamo pervasi un fenomeno astratto che alberga solo e soltanto nella mente di chi rema contro oppure un problema oggettivo, che ha profonde radici strutturali; che affondano nell'umus protostorico della cultura di questo paese?
Perche', vedete, se il punto di cui dobbiamo parlare il secondo, siamo veramente nei guai, guai seri e questi hanno la coda lunghissima, non sono di ieri o l'altro ieri, ma ben piu' antichi.
Partiamo da una considerazione di fondo e credo anche scontata; il nostro paese non cambia sincronicamente con i tempi e, purtroppo non catalizza le mutazioni delle scienze, della tecnologia e della cultura; snatura il meccanismo e lo fa' assurgere, per converso, a strumento separatore dove, appunto, scienza, tecnologia e cultura non si incontrano, si respingono. Questo strano fenomeno dovuto principalmente, almeno credo, al fatto che per secoli non ci siamo posti il problema tirando a campare sui luoghi comuni, tipo: l'Italia il paese della cultura e dell'arte. Michelangelo nostro. La storia della cultura italiana grande.
E' talmente grande la nostra storia che ha finito per strangolarci; non siamo stati in grado di ripeterci perdendo sempre piu' il contatto con la contemporaneita' vissuta sul campo.
A questo punto entra in gioco la struttura attraverso la quale si concretizzata e consolidata questa idiosincrasia; giusto il richiamo appassionato che fa Zappala' in merito al manifesto dei trenta per la tutela degli incarichi, un esempio fondamentale per il ragionamento che cerco di fare e che chiarifica e spiega l'anima del fenomeno separatore.
I maestri nostrani insorgono contro l'intelligenza esogena, contro gli incarichi profusi alle vedette internazionali, contro i concorsi ad invito coatto, fanno scattare, in definitiva, i meccanismi della difesa della corporazione (quella dei sommi, appunto); viene plasmata l'idea di un esterofilismo ingombrante, prevaricante, straripante, offensivo della sacralita' del territorio storico artistico italiano. Pane e companatico per quella politica che non aspetta che l'occasione per suonare le trombe della patria che raccoglie ed insorge, mette al bando la modernita' oscena; piglia e si mette a smontare architetture appena ultimate e le porta altrove (del resto se ne intendono visto che nel passato l'hanno gia' messa in atto questa strategia smontando e riportandosi a casa un bel mucchio di cose altrui).
La giustificazione di regime che il moderno poco si sposa con l'antico, nobile e sacro luogo patrio. Voglio dire, qui ancora stiamo alle ciance da lavandaie, con tutto il rispetto per queste pittoresche e graziosissime signore; ancora si fa' uso della distinzione che vede l'arte posta tra moderno ed antico. Il moderno osceno, provocatorio e anticonformista; l'antico, sacro, ispiratore e chissa' cos'altro. Possibile che non si voglia capire o si faccia finta di non capire che quello di cui abbiamo bisogno profondamente legato ad un processo che vede coinvolte le passioni, la conoscenza, la memoria, il senso del rispetto, le civilta' (uso il plurale perche' non vorrei che si pensasse che la nostra l'unica valente e le altre di meno)?
Amici cari, qui', proprio qui, nella culla della civilta', il bello viene considerato un vezzo; certo se quell'aggettivo dovesse racchiudere il senso della superficialita' cosi' com' espressa dai media, potrei essere anche concorde, ma vedete a quello a cui alludevo io ha un peso specifico molto piu' imponente ed articolato.
Basta aggirarsi tra i palazzi delle nostre citta' periferiche per comprendere la refrattarieta' al nuovo, al sensato, al logico; avete osservato cosa stanno combinando proprio li' i poteri forti dell'edilizia italiana? Avete idea di quale urbanita' tribale ci stanno propinando? La cultura del costruire stata azzannata da imprenditori che hanno una visione del mondo che non va' oltre la punta di una cazzuola, gli interessa solo la speculazione; i metri cubi. Acquistano i terreni; se li fanno trasformare da agricoli in fabbricabili; ci costruiscono centinaia di scatoloni indicibili privi di ogni rapporto con la socialita', con i servizi, col mondo civile. Pero' producono e fanno innalzare il PIL.
Il metro della cultura di questo paese ormai il PIL; tu architetto fai muovere di una tacca il PIL? No? Allora ti devi far da parte. Tu palazzinaro che ti sei fatto da solo, fai muovere al rialzo il PIL? Allora sei bravo e meriti la considerazione della macchina.
Al dila' del sarcasmo drammatico, il mondo dei soldi ha sostituito il mondo della cultura e si coltivato il sottobosco ideale per attingere a piene mani, manipolando gli strumenti che consentono di fare liberamente e civilmente profitto. Perche', mi chiedo, non sia possibile emulare, per esempio, il sistema francese?
Ecco la polpetta avvelenata della globalizzazione, il mercato globale, questa parolona che nasconde chissa' quali misteri; questo mondo alternativo con cui fare i conti; e sono ancora quelli di prima a fare i conti col mostro.
Il mercato chiede globalita', qualita', specialita', il made in italy; quale made in italy?
Quello di ieri? Dell'altroieri? E quello di domani come sar se non accettiamo l'idea che tutto muta in natura e che l'arte non ha tempo, non puo' avere tempo perche' lo trascende, va' oltre il limite o i limiti a cui dobbiamo sottostare? L'arte, proprio quella e che non deve essere letta per forza come chiave apologetica del divenire, bensi come espressione del fare bene le cose, con armonia, con rispetto, in assonanza con la natura, la memoria, la sensibilita' civica e tutto l'ambaradan.
Mi domando, e vedo che non sono l'unico, che c'entra in tutto questo la scuola? Se l'architettura lontana dalla modernita', la scuola italiana sprofondata nel baratro della recrudescenza senile. Se quello il modello, non saremo certo rivolti alla modernita'; e non voglio nemmeno immaginare dove si andr a parare. Vorrei chiedere a chi ha questa profonda e drammatica responsabilit se ha un'idea del punto in cui giunta la contemporaneita'; qui non si tratta di riformare i programmi e le strategie educativo-didattiche, qui bisogna ripensare il modus mentis. Signori miei i mutamenti sopravvenuti in questi ultimi decenni hanno mutato l'essenza del pensiero; quella che stiamo vivendo una rivoluzione copernicana ed il fatto eclatante e che ci siamo fatti trovare con le braghe calate; dobbiamo abbandonare il concetto di settore ed abbracciare una visione, questa s globale, del prodotto umano, dove tecnologia, scienza, arte, architettura, pensiero hanno un comune denominatore. E un po' come pensare ai volumi solidi di un tempo, massicci e pesanti, di tutta sostanza, fatti di pietre, mattoni e calce e gli stessi volumi resi aerei, quasi evanescenti, reali ed irreali nello stesso tempo e che, per esser tali, abbisognano di sistemi, sub sistemi e sub-sub sistemi, i quali, scendendo sempre di scala assumono essi stessi valore architettonico, perche parte di un'architettura e nel contempo architetture essi medesimi, con anima e sostanza. Certo difficile accettare tutto questo; noi, in specialmodo, figli di Leonardo e discepoli di Michelangelo siamo piu' tardoni ad afferrare il concetto, ma adesso dobbiamo scuoterci ed anziche' smontare e rimuovere architetture giudicate (da chi poi non l'ho ancora capito) invasive e traboccanti, ricominciamo sistematicamente e facciamoci tutti promotori della civilta' attraverso la contemporaneita' degli eventi.

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Commento 6258 di renzo marrucci del 21/05/2008


Gentile Marcozzi,
Zevi sosteneva che quando unarchitettura rimette in gioco i valori della crescita
ogni crisi un valore. Cio ogni valenza suscita altre valenze e il dibattito prende
la strada che meglio prende. Io penso che la crisi deve essere misurata anche ris
petto al sociale cio a quello che si vede e si sente mentre si vive la citt di tutti i giorni. Il mio rapporto quindi con la vita che vivo e le cose che vedo e quello che sento e quello che faccio e da cui sono fortemente influenzato. Influenzato per forza di cose, naturale. In quello che vedo e vivo c storia e vita, presente e futuro. Zevi stato per me importante per le cose giuste che ha detto e scritto e che porto con me insieme a quello di altri maestri che in qualche modo costituiscono la mia coscienza e la mia come direcontinuit, il mio nucleo interno che contribuisce a generare la mia risposta il mio modo di essere e di pensare. Mi sembra spontaneo e aderente e la cosa la ritengo importante per andare avanti. Poi ce la vita e le problematiche proprio tipiche della professione oggi, in particolare in quella dellarchitetto come sensibile realt nella nostra societ e facente parte di una realt vasta e complessa. Io credo che lapproccio sia quello di andare vanti organicamente, cio commisurando i problemi nei quali ci ritroviamo, perche da questi ne discende anche lapproccio teorico e comportamentale. Larchitetto vive nella citt degli uomini che sono di carne e pensano al presente come al domani in un rapporto di divenire crescente e vitale. Nessuna preoccupazione quindi per un rapporto con la storia che sia di valore per la continuit, purche sia organico, sano e rivolto ai problemi della nostra esistenza. Larchitetto responsabile in questo contesto di una sua presenza cosciente e critica. Mi fermo qui. Nessuna paura della storia e se la conosci ti anche amica. Gli architetti che vengono da fuori e che poi non calano dal cielo ma sempre per vie molto terrene esattamente come i nostri archistar e aspiranti star, non sono da paventare ma da capire, per il fenomeno che rappresentano rispetto anche alla crisi italiana su cui occorre il contributo serio di chi desidera pensare ma anche operare concretamente. Tra gli architetti di carta e di muratura ci sono altri architetti mi creda.
Un sincero saluto

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