Un futuro abitabile
di Leandro Janni
- 28/3/2006
Lo scorso 16 febbraio abbiamo festeggiato con una Giornata ecologica il primo compleanno dellentrata in vigore del Protocollo di Kyoto, il trattato internazionale con cui i governi di molti paesi si sono assunti limpegno di ridurre le emissioni di CO2 e dei gas climalteranti, nel periodo compreso tra il 2008 e il 2012.
Dobbiamo ammetterlo: sempre piuttosto facile discutere, ragionare persino fare qualcosa di ecologico e di sostenibile nelle ricorrenze eclatanti, durante quei riti globali e persino festosi in cui si concentra lattenzione sullo stato di salute del nostro pianeta e ci si impegna solennemente ad invertire la rotta, a cambiare lo stato delle cose. Assai pi difficile invece la coerenza, tutti i giorni dellanno, nelle scelte di politiche e programmi, nei comportamenti individuali e collettivi.
I vertici, le conferenze, gli anniversari internazionali passano, si susseguono, ma il dato reale, concreto, misurabile che la vivibilit, la salute della Terra inesorabilmente peggiorata. Cos certificano, scientificamente, inesorabilmente gli indicatori ambientali essenziali: mutamenti climatici, inquinamento atmosferico, scarsit di acqua, desertificazione dei territori.
Comunque sia, in attesa di nuove diagnosi, in attesa perfino di un governo democratico dei grandi problemi planetari, importante che in ciascuno di noi aumenti la consapevolezza che la dimensione locale essenziale per la costruzione di uno sviluppo tendente alla sostenibilit. Uno sviluppo capace di diminuire il carico che grava sul nostro pianeta. Uno sviluppo capace di restituirci un futuro abitabile, desiderabile.
Oggi il processo di globalizzazione ci appare come un fenomeno multiforme e contraddittorio. Un processo che non possiamo accogliere acriticamente, semplicisticamente, in nome del puro e semplice sviluppo economico. Le logiche della finanza e dei gruppi economici dominanti troppo spesso appaiono accettate e non orientate dai governi dei paesi industrializzati. Una cultura, una politica consapevole, attenta alla qualit della vita, al senso autentico delle cose, attenta anche alla bellezza dei luoghi, delle nostre citt, non pu non evidenziare quei rischi che derivano dal saccheggio sistematico dellambiente e dal consumo incontrollato delle risorse naturali, dai danni irreversibili alla natura provocati da stili di vita non pi sostenibili, da un processo di omologazione che cancella le differenze artistiche e culturali dei contesti storico-geografici, dallappiattimento sui livelli e sui modelli dei paesi economicamente pi forti.
Ormai evidente che lomologazione e la cancellazione delle diversit procede sia per vie dirette che indirette: attraverso le biotecnologie, il commercio, la politica, i modelli culturali imposti. Omologazione anche labbandono dei prodotti, dei manufatti di qualit radicati in una tradizione di civilt, in stretto rapporto con il territorio, con i luoghi. O, peggio, limposizione di prodotti indispensabili ad un costo insostenibile per molti. Altro grave rischio la perdita di identit culturali: lingue, espressioni artistiche e architettoniche, usanze, saperi, tradizioni.
Le politiche ambientali dei luoghi, dagli specifici contesti territoriali sono quelle che un governo regionale, unamministrazione locale (comunale, provinciale) pu persino anticipare rispetto agli orientamenti statali, comunitari, globali. Sono quelle che direttamente, efficacemente aumentano la qualit sociale dello sviluppo, la sicurezza e il benessere dei cittadini e, alla fine, anche la produttivit complessiva di un territorio. Creando condizioni, opportunit nuove di lavoro.
Senza considerare, valutare ci che sostenibile e ci che non sostenibile, senza uneconomia ecologica, senza bilanci che comincino a calcolare anche i costi ambientali, si costruisce uno sviluppo ingiusto, privo di diritti certi. Si toglie ossigeno, speranza, futuro al luogo, ai luoghi in cui viviamo, abitiamo.
Ecologia letteralmente dottrina della casa: ma, oltre la dimora materiale, la Terra, lambiente, necessario ricostruire la dimora spirituale, e con essa una nuova idea di politica.
(Leandro Janni
- 28/3/2006)
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Commento 1112 di Davide Pagliarini del 30/03/2006
Larticolo di Leando Janni contiene le premesse, culturali ancor prima che politiche ed economiche, per avviare azioni concrete. Azioni che coinvolgono, oltre agli interventi sugli insediamenti di matrice storica e i nuclei gi consolidati, una differente gestione del mercato edilizio contemporaneo.
Come intervenire a fronte dellenorme offerta immobiliare di villette, appartamenti in villetta, mono e bilocali in villetta? Quali le alternative a una economia che ha affidato alledilizia il ruolo di volano, con enorme spreco di risorse finanziare, umane e ambientali?
Le nuove lottizzazioni, localizzate nelle aree di espansione dei Comuni, consumano suolo e ad esse non corrisponde una presenza di infrastrutture accettabile, sia per gli abitanti, sia per lambiente.
Si costruiscono case senza alcuna qualit allinterno di banali lottizzazioni. Costosissime - si potrebbero fare uso di tecnologie a basso costo, o pensarle come demolibili - si rivelano incapaci di dar vita a un luogo e per questo precarie.
insensato usare tecnologie pesanti per una costruzione che, fin nelle premesse progettuali, non ha alcuna possibilit di strutturare il territorio, di stabilire con esso relazioni su una prospettiva temporale estesa.
Perch costruire con tecnologie pesanti edifici precari, che tra 20 o 30 anni saranno sostituiti da nuovi interventi di natura differente?
La strada del recupero di quanto gi stato costruito, dai manufatti e dagli insediamenti di formazione storica alledilizia ordinaria degli anni Sessanta e Settanta, se da un lato innesca meccanismi positivi, dallaltro non sufficiente ad assorbire la domanda del mercato, i bisogni che la condizionano e le trasformazioni dello spazio fisico che essa determina.
Ad eccezione della fascia costiera, molti dei piccoli comuni italiani, estesi sul 30% della superficie nazionale e abitati dal 6% della popolazione (CRESME), si trovano in posizioni disagiate rispetto agli attuali stili di vita e di consumo - in ogni caso inaccettabili e sui quali va fatta una politica differente - dallaltro ledilizia del periodo di espansione economica 1960-70, popolare, a densit alta, pluripiano obbliga a unidea di condivisione, di coscienza dello spazio sociale e collettivo divenuta insopportabile.
La villetta rappresenta il raggiungimento del sogno individualista, i paesi sotto i 2000 abitanti si svuotano, incapaci di offrire attrattive economiche e commerciali pi che la consistenza storica e lidentit che al contrario possiedono.
necessario - ed altres occasione di dibattito culturale e sperimentazione progettuale - che larchitettura si occupi di tali questioni, diffuse, locali, estese.
Davide Pagliarini | www.newlandscapes.org
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