Zevi dispettoso
di Paolo G.L. Ferrara
- 17/2/2006
Pur non essendo pi di questo mondo, Bruno Zevi continua a fare il dispettoso e la cosa mi fa divertire infinitamente.
Un dispetto pianificato gi in vita, poich sapeva bene che la questione sulla sua eredit avrebbe suscitato dibattiti e polemiche. Ed certo che se la rideva di gusto, soprattutto perch immaginava che si sarebbe appunto parlato di "eredit" a dispetto di quanto lui stesso aveva sempre predicato, ovvero che ...non si pu essere eredi dei maestri, bens contemporanei, il che fa davvero una grande differenza.
Lerede, lo sappiamo tutti, colui che, dopo la morte di una persona, ne acquista -in tutto o in parte- beni, diritti e obblighi. Lerede per anche "spirituale", ovvero colui che, del dipartito a miglior vita, continua o elabora ulteriormente idee e attivit, e lo fa rispetto la propria contemporaneit.
Non essendo eredi testamentari di Zevi, nel caso dei critici/storici, dovremo dunque parlare di eredit spirituale, quella che ciascuno pu credere propria secondo parametri vari.
Il pi capirsi proprio sui parametri: quelli culturali? quelli etici? quelli dellimpegno civile? quelli del pensiero architettonico? quelli della critica operativa? quelli spirituali? quelli etc. etc.?
Dice Diego Caramma, a proposito del compito che spettava agli eredi di dare continuit al messaggio zeviano propugnato durante il Convegno di Modena (1997) Paesaggistica e Linguaggio grado zero dellarchitettura, afferma: Continuarlo con la stessa formula della rivista non era possibile ad altri, a meno che non si volesse intraprendere unopera di grottesca emulazione, come forse qualcuno avrebbe voluto. Ma quanto ci sarebbe stato dellanimus zeviano in tutto ci?
Caramma si riferisce specificatamente alla questione sulla paesaggistica non quale ultima, forte, parte delleredit zeviana, ma unica poich ultima, e ci lo fa cadere nellequivoco della possibilit di scindere le varie fasi del pensiero critico di Zevi. Il messaggio di Zevi non sezionabile in questo o quello: un tuttuno, forte, mai statico, sempre contemporaneo al suo tempo.
Essere contemporanei, ovvero lassoluto credo di Bruno Zevi, quello su cui ha sempre basato tutta la sua formulazione critica dellarchitettura.
Chiediamoci dunque se di Zevi, piuttosto che improbabili eredi, ci siano o meno contemporanei.
Ma non basta. Si deve, in primis, dare la giusta accezione a cosa significhi essere contemporanei a qualcosa o a qualcuno. Fatto ci, ecco che la morte di Zevi non lascia alcun vuoto da colmare, nel modo pi assoluto.
La conferma ci data dallo stesso Zevi, allorquando, nelleditoriale Esiste un dopo Gehry ? (La - N.510) proprio a proposito della questione sulla eredit culturale, dice: Esiste un dopo-Filocle? Un dopo-Brunelleschi? Un dopo-Michelangiolo o Borromini? Un dopo-Wright, un dopo-Mendelsohn, un dopo-Gehry? Non esiste, n pu esistere se non in senso reazionario, non dopo, ma contro. Gli autentici borrominiani, wrightiani, gehriani, anche se pi giovani, non sono eredi dei maestri eretici, ma contemporanei.
Un altro esempio tratto da una intervista del 1998 proprio a proposito di La.
La domanda: In quale misura la rivista Larchitettura cronaca e storia nei suoi oltre venti anni di vita ha influito sulla qualit diffusa dellarchitettura italiana?
La risposta di Zevi: "Preciso: non si tratta di oltre ventanni, ma di 53, dieci di Metron~Architettura [1945~55] e quarantatre di Larchitettura cronache e storia [1955~]".
Facile intuire che, al momento della sua morte, avrebbe detto non si tratta di oltre ventanni, ma di 55, dieci di Metron~Architettura [1945~55] e quarantacinque di Larchitettura cronache e storia [1955~2000], ci a rimarcare il concetto fondamentale di continuit, quella stessa non reputata pi sufficiente da Luca Zevi che dice:"oggi la continuit non basta, perch serve un progetto capace di attualizzare la "missione" della rivista di fronte ai grandi temi con i quali chiamato a confrontarsi il mondo dell'architettura. Di fronte a questo compito il gruppo redazionale, che ha lavorato coralmente con grande passione nei passati cinque anni, ha ritenuto opportuno un momento di riflessione."
Non capisco: attualizzare la missione della rivista di fronte ai grandi temi del mondo con i quali chiamato a confrontarsi larchitettura ci che sempre stata base imprescindibile delloperare di Bruno Zevi, anche a dispetto delle critiche e delle ironie di molti professoroni universitari che ai loro studenti, durante la stagione in cui imperversava il concetto di "cultura del progetto", sapendo bene che Bruno Zevi la considerava una " macroscopica spazzatura di pseudoconcetti e teorie astratte", non lo nominavano neanche, limitandosi a considerare anacronistiche le sue posizioni.
Un momento storico che anche Luca Zevi rimarca: Negli anni '80, emarginati e derisi, mai avremmo potuto lasciare il campo proprio perch tutti gli altri - chi pi chi meno - erano saltati sul carro del postmoderno, il tutto per dire che in quellepoca si poneva il dovere etico di continuare la battaglia e che oggi, vinta la battaglia, quel compito si esaurito e, dunque, ci si deve prendere una pausa di riflessione.
Di nuovo, non capisco: la "continuit" consiste proprio nel rinnovare sempre gli obiettivi ma senza alcuna soluzione di continuit rispetto a quelli raggiunti che, indissolubilmente, sono la base su cui fondare la continuit stessa.
Chi, come Roberto Duilio, afferma che La era assolutamente personalizzata dalla figura del suo fondatore dice il vero solo finch non scade nella assoluta banalit del volere rintracciarne i motivi della chiusura nella morte dello stesso fondatore.
Per Bruno Zevi, personalizzare la rivista significava semplicemente darle un preciso indirizzo culturale da comunicare ai lettori, estimatori o detrattori che fossero,
Ho letto molte opinioni in merito alla chiusura della rivista ma nessuna di esse ha messo il dito nella vera piaga: non vi era un ritorno economico e, dunque, la Mancosu ha deciso di chiuderla. Nulla di scorretto dal punto di vista della casa editrice: chi investe vuole guadagnare. Da qui la scelta di Furio Colombo quale direttore, figura nota e che poteva tirare le vendite. La Mancosu ha sbagliato e non merita gli elogi che Antonino Saggio le attribuisce. La Mancosu ha chiuso perch ha fallito lobiettivo, che non era quello di vendere, bens di continuare a dare, a chi lo desiderava, uno strumento con cui confrontarsi sulle problematiche dellarchitettura, quelle stesse che Zevi metteva in campo e che non tiravano le vendite: infatti, come noto, la rivista vendeva pochissimo anche con al timone Bruno Zevi, poco considerata come era rispetto Casabella o Domus. La matrice del problema delle poche copie vendute stava nella mancanza di servilismo di Zevi: mai, su La, si letto qualcosa di equilibrato ed obiettivo, ma ci era la sua forza poich non poteva essere equilibrata ed obiettiva una rivista che portava avanti battaglie di grande portata culturale, etica, sociale e che lo faceva contro i diversi sistemi autoritari. Tutto quello che Casabella e Domus degli ultimi trenta anni non hanno assolutamente fatto.
Anche con Zevi in vita la rivista vendeva pochissimo perch chiaramente schierata e drasticamente ostracizzata quale Zevi-pensiero da parte delle facolt di architettura, fuori dagli schemi di una pubblicistica finalizzata a racchiudersi nella propria nicchia, senza colpo ferire.
Zevi no: lui era un architetto-critico-storico/politico, ovvero fortemente convinto, a ragione, che larchitettura necessiti della politica poich assoluta forma di espressione della societ.
Ma attenzione, non di una semplice azione politica tipicamente d'appoggio agli interessi privati, bens di una etica politica, tanto quanto lo era il suo sogno di ricostruire il Partito dAzione come disse Emma Bonino- quale strumento di una politica che corrispondesse fino in fondo ai suoi ideali, antichi, profondi, nati e venuti a lui da lontano, da quando, sedicenne, entr nei gruppi clandestini di Giustizia e Libert.
La politica era per Zevi fare battaglia per la societ, tanto quanto la sua critica era battaglia per larchitettura specchio di quella societ per cui combattere politicamente, al di l di qualsiasi ipocrita forma del -cos come oggi si dice- political correct.
Diceva infatti, rispetto la sua esperienza di parlamentare: Perch sto con i radicali? rispose Perch sono gli unici a pensare e proporre cose nuove; gli unici a parlare di rivoluzione, sia pure liberale e liberista e libertaria, e non liberalsocialista come vorrei io; gli unici capaci di buttarsi (o battersi, non ricordo con precisione) a ogni ora del giorno e della notte, anche dagosto; gli unici a pagare sempre di persona. E ancora: La nostra classe politica stupendamente prudente, equilibrata, immobile, sensata. Quella radicale temeraria, disarmonica, dinamica, insensata. Io invece sto con i radicali.
Come si pu scindere dunque il destino di La da questi ideali? Impossibile, il che significa che solo chi ha coscienza di essi pu dirsi contemporaneo di Zevi.
Di certo non lo sono tutti coloro che, pur di scrivere su una qualsiasi rivista, sono assolutamente capaci di rinnegarsi. Questo purtroppo successo su La dopo la morte di Zevi, allorquando sono stati messi in organico critici e storici che, come Federico Bucci, in ambito universitario, insegnando storia contemporanea, non si sognavano neanche di fare studiare testi di Zevi (piuttosto, meglio Frampton).
Questione fondamentale, colta in pieno da Saggio: ...alcuni tra i membri amici di Zevi del comitato hanno portato dentro la rivista studiosi di tutt'altra storia culturale, per cui allibiti, e come se niente fosse, ci si trovati dentro la pi decisa rivista di tendenza italiana, letture critiche e storiche, apprezzamenti e giudizi di opposta natura. Il tutto, questo il bello, come se nulla fosse.
Sono fortemente convinto che la chiusura di La sia un fallimento che coinvolge tutti coloro i quali hanno sempre parlato di Zevi quale personale punto di riferimento (antiTHeSi compresa) e ci semplicemente perch nessuno di noi, tra il 2000 e il 2005, ha mai apertamente preso posizione critica sulla gestione della rivista. Lo facciamo, tutti, solo adesso, a defunto ancora caldo.
Per questa convinzione non posso assolutamente concordare con quanto dice Diego Caramma: La rivista avrebbe anche potuto chiudere (non avrebbe forse avuto importanza) sei anni fa, il giorno dopo la morte del suo fondatore. Il compito - e linvito a proseguirlo (efficacemente espresso in quel continua tu, tu, tu, tu) - era stato indicato con precisione tre anni prima. Continuarlo con la stessa formula della rivista non era possibile ad altri, a meno che non si volesse intraprendere unopera di grottesca emulazione, come forse qualcuno avrebbe voluto. Ma quanto ci sarebbe stato dellanimus zeviano in tutto ci?".
Lanimus zeviano, soprattutto quello direttamente riconducibile alle battaglie civili per larchitettura quale espressione della societ, ancora assolutamente vivo. Il difficile renderlo contemporaneo a noi, ma proprio qui sta la sfida.
Troppo facile, caro Diego, parlare di grottesca emulazione, che propria dei mediocri mentre credo proprio che le persone di cui Zevi si circondava non lo fossero. Sono certo che nessuno degli appartenenti allarea zeviana avrebbe cercato di emulare il maestro e ci semplicemente perch coloro che, realmente, avevano avuto modo di lavorare fianco a fianco con Zevi, cos come dice Luigi Prestinenza Puglisi, avevano fisionomie ed individualit diverse, a volte, e per fortuna, conflittuali. Individualit conflittuali anche con lo stesso Zevi, di cui comprendevano la portata del messaggio ma a cui rispondevano con le loro disinibite opinioni, a volte, appunto, conflittuali. Ma era il sale, la forza del crescere, il modo migliore per confrontarsi mettendo in crisi lo Zevi-pensiero.
Questo voleva il maestro: sfide, sfide, sfide. Sempre.
Una sfida che lo stesso Bruno Zevi, commentando nel 1999 il peso culturale che le riviste di architettura nel XXI secolo avrebbero dovuto incarnare, aveva lanciato affermando che una rivista mensile uno strumento del tutto inadatto. Pensiamo ad un foglio settimanale, a opuscoli, a strillonaggio stradale e a quantaltro.
Caro Luca, come vedi, la ragione per fare continuare a vivere La cera, perch tuo padre stesso laveva, e ancora c: basterebbe un foglio settimanale, o un opuscolo, o un sito internet.
Non conta il contenitore, ma il contenuto. Quel contenuto vitale che Giovanni Damiani ha perfettamente colto: "L'architettura, cronache e storia" che davvero ha segnato un'epoca straordinaria dell'architettura italiana e che gi ci manca, perch forse ci manca proprio la vitalit intersecata alla profondit di pensiero che ha caratterizzato una stagione estremamente ricca per il nostro Paese, la nostra cultura e la nostra architettura.
Dispettoso fino in fondo Bruno Zevi: chi mai, tra i carrieristi, accetterebbe di scrivere su un opuscolo o su un volantino per puro spirito etico, culturale, di impegno civile?
La sfida lanciata solo per chi delle carriere se ne frega, per chi comprende quanto fosse fondamentale in Zevi quello che lui stesso, riferendosi a tutto il suo lavoro (riviste, universit, progettazione, libri) chiamava "surrogati di un impulso politico inespresso. Attivit condotte nello spirito del Partito d'Azione, riflessi del pensiero liberalsocialista di Rosselli nello specifico architettonico.
Una volta, nel 1993, rispondendo (con il suo mitico fax) ad una mia lamentela rispetto al fatto che senza un garante non si fa carriera (in riferimento a quanto succedeva allinterno della facolt di Milano), mi sferz: avere un garante? E perch?! Chi non ha un garante si autogarantisce. Non accetto alibi: se non ha voglia di lottare se ne vada dalluniversit, lasci la professione, prenda la tessera di un partito potente.
E chiuse con un brutale Questa volta, salutoLa con distacco. E si faccia vivo solo se ha deciso di lottare, senza la certezza di riuscire a vincere.
Fu il pi grande insegnamento che mi abbia mai dato.
(Paolo G.L. Ferrara
- 17/2/2006)
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Commento 1094 di Beniamino Rocca del 22/02/2006
Bravo Paolo,
traspare un'energia costruttiva nel tuo intervento che, finalmente, fa una sana e brutale chiarezza a proposito dell'annunciata chiusura della storica rivista di Bruno Zevi. Adesso credo sia pi facile per tutti noi ripartire. Gi, ripartire bisogna. E ripartire da Modena, chiamando a confronto i "contemporanei" e senza perdere tempo a cercare impossibili "eredi". Condivido ogni parola della tua analisi sull'impegno critico di Zevi, sulla "continuit " nel fare battaglie per la societ rivendicando l'architettura come impegno civile ed espressione compiuta della societ.
Ho una proposta, un p matta, da fare a te e a Sandro:
Perch Antithesi non si fa promotore di un incontro-convegno con i "contemporanei" (e qui penso ai Prestinenza, ai Saggio, ai Caramma, ai Genovese, ai Guido, ai Fadda, a Luca e Adachiara Zevi naturalmente, e a tanti altri zeviani ancora) ma anche con politici come Nicola Terracciano, segretario del Partito d'Azione Liberalsocialista, Emma Bonino e Pannella, associazioni come In-Arch, il Codiarch, e tutti coloro i quali hanno predisposizione al sogno, come Zevi ci ha insegnato?
Credo che da un simile incontro-convegno non dovrebbe essere difficile far nascere quel "... un foglio settimanale, a opuscoli, a strillonaggio stradale e a quantaltro che saprebbe forse innervare e dare una scossa a queste universit sclerotizzate, alla Darc, agli ordini professionali. Ripartire da Modena, da Zevi, per rivendicare un maggiore impegno etico-politico e civile gi nelle leggi di riforma di questa professione che nemmeno l'Europa riesce a migliorare e che vogliamo ancora credere "il mestiere pi bello del mondo".
Insomma, io credo davvero che i sogni siano sempre una buona ragione per vivere e non dobbiamo rinunciarci, mai.
Tutti i commenti di Beniamino Rocca
Commento 1103 di fulvio faludi del 15/03/2006
spett.le antithesi
segnalo l'ennesimo equivoco articolo su zevi (l'unit, 13 marzo 2006)
come arrivano certi intrugli alle colonne di quotidiani nazionali?
Tutti i commenti di fulvio faludi
Commento 1111 di Carlo Sarno del 28/03/2006
Per non dimenticare... con affetto , Carlo Sarno .
Conferenza tenuta dall'arch. Bruno Zevi il 6 dicembre 1947, al 1 Congresso Nazionale dell'Associazione per l'Architettura Organica (A.P.A.O).
Amici congressisti delle APAO,
non senza titubanza ch'io mi accingo a parlarvi di architettura organica. Mi capitato spesso di trattare e di scrivere sull'argomento, ma confesso che questa la prima volta che mi trovo a parlare di architettura organica ad un consesso di architetti organici. E' vero che noi diciamo che il carattere distintivo dell'architettura organica rispetto a quella razionale di essere funzionale anche sul terreno della psicologia; ma qui non si tratta di psicologia, sibbene quasi di una seduta di psicoanalisi collettiva, in cui dobbiamo insieme discutere su quei germi corrosivi e, per fortuna,...infettivi che, nella casistica delle nevrosi moderne, danno luogo a quella strana malattia che va sotto il nome di... APAO.
Quando ci trovammo a stabilire il programma di questo congresso, alcuni proposero di dedicare qualche ora a dibattere gli aspetti culturali dell'architettura organica. Ma ritirarono subito la proposta non tanto per tema di trasformare questa riunione in un incontro pugilistico, quanto perch tutti avevano la sensazione che ormai l'APAO vale assai pi dell'architettura organica. Avviene in tutti i partiti e in tutte le associazioni. Si parte da un credo politico o culturale, poi ci si fanno le ossa, si creano e si sviluppano valori di collaborazione, di vita vissuta insieme, di comuni opere, di solidariet, e ad un certo punto questi valori acquistano un'importanza autonoma, divengono essi stessi la giustificazione dell'essere associati. La nostra fedelt all'APAO trascende la valutazione del suo credo architettonico; l'associazione raccoglie ormai le migliori forze dell'architettura moderna italiana dalla Sicilia al Piemonte; lavorando a Torino, voi piemontesi sapete di perseguire intenti per cui operano i giovani architetti di Palermo e di Catania, e questa coscienza d forza e fiducia, crea un ambiente psicologico di vincoli umani che costituisce una zona di attrazione anche per coloro che altrimenti non si sentirebbero di firmare questa nostra antica Dichiarazione di Principii di colore cospiratorio e carbonaro. Prima che una poetica comune, ci lega una profonda passione di rinnovamento della scena fisica e morale del nostro paese, una generosit, una volont di operare su un piano che va al di l degli interessi grettamente professionali e personali. In tre anni di lavoro, abbiamo creato le tradizioni dell'APAO; s che, se qualcuno venisse qui questa sera a dimostrarci che l'architettura organica non esiste, che nulla ha un senso di ci che noi predichiamo culturalmente, e, per uno strano scontro di costellazioni, riuscisse a convincerci tutti, noi risponderemmo: dunque cambiamo nome, e continuiamo a lavorare.
Non per un caso che delle due associazioni di architettura moderna che preesistevano all'APAO, cio l'MSA di Milano e la PAGANO di Torino, una di esse si sia unita al nostro movimento. E perch? Perch si richiamava ad un uomo che per noi tutti segno e simbolo della missione, del coraggio e della vocazione dell'architetto moderno. Al di l del credo teorico di Giuseppe pagano, al di l degli errori ch'egli commise e dei compromessi che accett, c' e resta e sola vale la tensione della sua azione, il tempo della sua vitalit, la capacit e la generosit del suo fare. Quando voi torinesi avete trasformato la PAGANO in APAO, l'avete fatto perch sentivate che Pagano - indipendentemente dalle sue intuizioni sull'architettura organica e dalla risonanza che aveva dato in "Casabella" al pensiero di Persico su Wright - indipendentemente da ogni valutazione teorica, sarebbe stato con noi, perch tutta la sua vita, con i suoi errori e col suo eroico splendore, fu qualificata da questa generosit nell'agire, da un temperamento che preferiva magari una parzialit atta a scoprire nuovi orizzonti piuttosto che una verit generica e infeconda.
Contro l'agnosticismo.
E con ci, credo di aver risposto alla principale critica che ci vien mossa da parte degli "obbiettivi o degli agnostici. essi ci dicono che la architettura non ha bisogno di aggettivi, che l'arte rifiuta attributi, e che di conseguenza l'architettura organica non esiste. Ebbene, amici, chiunque ci conosce sia pur di lontano dovr ammettere che noi non siamo illetterati fino al punto di non sapere che all'arte non si danno aggettivi. Ma questo non basta affatto a giustificare la posizione di sordo agnosticismo che vige nel campo avversario. L'arte non ammette aggettivi, ma il mondo morale, pratico, intellettuale e, se volete comprendere anche i mezzi espressivi, la poetica sulla cui base nascono le creazioni degli artisti, richiedono caratterizzazioni e perci ammettono aggettivi. Se l'arte organica non esiste, e nessuno di noi ha mai sostenuto che esista, c' per, pienamente legittimo dal punto di vista filosofico e critico, un indirizzo dell'architettura organica, ed quello che noi affermiamo.
L'APAO ha il grande merito di aver spezzato l'agnosticismo architettonico in Italia, quell'agnosticismo vuoto di fedi e di passioni per cui l'arte arte sia che si faccia oggi con le colonne e con gli archi oppure coi mezzi moderni; quell'agnosticismo che concepisce l'arte al di fuori della storia e della vita. I nostri avversari sono architetti senza aggettivi, senza nemmeno il vago aggettivo di moderni, perch sono uomini ormai senza coraggio in architettura e in critica; si limitano a mormorare, a ridacchiare senza gioia, non hanno mai scritto un rigo per criticare quello che noi avevamo detto e fatto, sfuggono ad ogni serio dibattito, non hanno idee da difendere ma solo posizioni da conservare. In verit essi costituiscono, nel campo dell'architettura, la traduzione di ci che il trasformismo in politica: una serie di clientele tenute insieme da interessi pi o meno evidenti, culturalmente inesistenti o dannosi, di carattere effimero. Bargellini, l'unico che abbia scritto qualcosa contro l'architettura organica, si limitato a criticare la teorica di Wright (e davvero non ci vuol molto a trovare contraddizioni nella pseudo-filosofia di un genio!); ma onestamente, quando si riferito alla nostra impostazione dell'architettura organica, ha dichiarato che era seria ed acuta.
Noi siamo pronti a discutere e a rivedere ogni nostro punto con chiunque desideri farlo. Ma combattere il muro cieco e dispersivo degli agnostici tempo perso, e non possiamo far altro che lasciarli alle loro mormorazioni.
Diffusione della tendenza organica.
Vengo alla seconda critica, assai pi valida , che suona esattamente antitetica alla prima; ci vien mossa internamente, da membri dell'associazione e da simpatizzanti. Non ci accusa di voler essere troppo precisi conla specificazione di organico apposta all'architettura, ma solleva l'obbiezione contraria: che cos' questa architettura organica? Ci avete spiegato vagamente il suo indirizzo morale, ma dov' architettonicamente? In altre parole, come si fa a farla?
E' una critica su cui richiamo la vostra attenzione. Ci che noi abbiamo detto e diciamo sull'architettura organica non basta alla maggioranza di coloro cui ci rivolgiamo: dobbiamo essere assai pi specifici.
Ricordo un aneddoto. Un giorno, qualcuno che aveva trovato la lettura della Bibbia eccessivamente noiosa, domand ad un filosofo ebreo di definirgli il significato delle Sacre Scritture in non pi di dieci parole. Il filosofo rispose: " Ama il prossimo tuo come te stesso; tutto il resto commento, va e studia ". Anch'io quando, correndo ad un appuntamento, sono fermato da qualche collega che mi domanda, non senza una certa ironia, di dirgli su due piedi che cos' l'architettura organica, rispondo: " L'architettura organica l'architettura funzionale che funzionale rispetto non solo alla tecnica e allo scopo dell'edificio, ma anche alla psicologia degli abitanti. Tutto il resto commento, va e studia ". Ma voi comprendete benissimo che se questa una risposta-boutade meritata da uno scocciatore mezzo-intellettuale che vuol far finta di essere furbo, essa del tutto inefficace per ci che riguarda la massa di onesti professionisti, geometri, ingegneri civili, che si interessano ai nostri problemi e da cui non possiamo pretendere un approfondimento culturale.
L'esigenza di una popolarizzazione dell'architettura organica cos evidente che io avrei voluto intitolare questo discorso " il manierismo dell'architettura organica " e dedicare tutto il tempo a questo tema. Manierismo dell'architettura organica? Sembra assurdo: il manierismo dell'anti-manierismo. E, sotto un certo aspetto, un paradosso. Ma considerate questo problema: vicino ai pochissimi poeti, in ogni epoca sorgono larghe schiere di manieristi che creano l'ambiente artistico, quell'insieme di simpatie e di consensi che facilitano il prevalere del genio. Anche oggi, un'infinit di costruttori, di geometri, di ingegneri civili, anche di architetti minori, ha bisogno di un metodo, ha bisogno anche di copiare. Copiavano il classico, oggi copiano lo pseudo-moderno di Piacentini o gli arredamenti di ponti. E' cos, e, allo stato attuale della nostra educazione, fatale che sia cos. Ora, se l'architettura organica costituisce un vero e proprio movimento culturale, noi dobbiamo ammettere che essa non si identifichi con l'architettura bella, ma sia solo un atteggiamento, un metodo di fare l'architettura, una poetica che nel genio dar luogo a capolavori, nei minori ad opere soltanto dignitose e decenti. Nessun cubista pretender che la pittura cubista sia quella bella, e la pittura non-cubista sia negativa. Sosterr che il cubismo un vocabolario figurativo o,
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