Laszl Moholy-Nagy (1895-1946)
di Alessandro Tempi
- 16/1/2005
La poliedrica figura di Laszl Moholy-Nagy, che spazia dalla pittura
all'architettura, dalla scenografia alla fotografia ed al cinema, dalla
sperimentazione in ogni campo espressivo ad un forte e lucido impegno nel campo
dell'educazione all'arte, compendiata nella sua attivit di teorico alla
costante ricerca di una nuova definizione sociale del ruolo dell'artista in un
mondo ed in un tempo caratterizzati dall'egemonia degli apparati
tecnico-industriali e dalla conseguente trasformazione di tutta la rete delle
relazioni socioculturali<[1].
Moholy-Nagy - che, non va dimenticato, fu anche direttore del nuovo Bauhaus
quando questo venne trasferito a Chicago nel 1937 - infatti fra i primi a
capire che nel processo storico di trapasso dal lavoro artigianale a quello
industriale certamente implicata anche l'arte sia nella sua funzione che nei
suoi valori e che questa trasformazione richiede che l'artista sia capace di
instaurare un'intesa, un rapporto organico con la struttura produttiva (il che
significa, in chiave marxiana, con la Storia), che implica per un verso la
conoscenza delle tecniche moderne, dall'altro la consapevolezza che la
produzione artistica non pu pi avvenire ad un livello semplicemente
manuale-fabrile, ma richiede bens un potente apporto ideativo-progettuale che
subordina il suo compimento estetico alla messa in esercizio di quelle tecniche
moderne di cui lartista-progettatore deve saper disporre.
A ben vedere dunque, la ricerca di questo rapporto organico precede
necessariamente da una mimesi formale-concettuale del modello tecnologico e
proprio in quest'ottica si presta ad essere letta anche come una riproposizione
di quel principio di imitazione che se nell'estetica settecentesca fondava il
nesso arte/natura, a partire dall'Ottocento si muove verso un nuovo ambito di
inerenze, quello fra arte e societ, nel quadro del quale esso andr incontro ad
un graduale ma inesorabile dissolvimento del proprio carattere puramente
estetico proprio sull'onda dell'avvento della tecnica e dei mutamenti culturali
ivi derivanti anche nel campo dell'arte.
La tendenza contemporanea dell'estetica ad essere assorbita da altre forme di
sapere ha peraltro un suo attivissimo rappresentante proprio in Moholy-Nagy,
nel cui progetto teorico l'arte si va trasformando da "mistero romantico" in
"chiarezza storica", il che significa da un lato capacit di equiparare se
stessa ai processi storici in atto, dall'altra necessit di ricondurre la
consapevolezza artistica agli ambiti strutturali di tali processi.
indubbiamente nell'ambito di questa seconda istanza che si va a configurare lo
spazio per formulare una nuova estetica.
Le premesse artistiche di questo progetto discendono indubbiamente dalle
esperienze costruttiviste e del Bauhaus, polarizzate come si visto intorno
all'esigenza di superare il tradizionale sistema delle arti per un'integrazione
fra pratica artistica tout court e mondo della tecnica (che equivale ad un altro
modo per riproporre l'istanza del riaccostamento dell'arte con la realt
concreta. Moholy-Nagy del resto molto lucido su questo punto: egli parla di
un'arte che rompendo con la visione individualistico-romantica che la pone come
espressione di "esperienze psichiche soggettive", si proponga come
"progettazione" di modelli estetici in sintonia con la nuove realt tecniche e
sociali della societ industriale moderna, fra le quali spicca la dimensione di
"massa", che egli, come gi Benjamin, continua a pensare ancora suscettibile di
potenzialit rivoluzionaria proprio in virt dell'apporto tecnologico: la
rivoluzione tecnologica, che estende le facolt umane (tema gi presente in
Henri Bergson e ripreso successivamente con ragguardevoli sviluppi teorici da
Marshall McLuhan[2])
rigenera le capacit creative e si pone quindi anche come rivoluzione estetica
che nei suoi portati formativi ed acculturanti emancipa le masse. Per questo,
secondo Moholy-Nagy, essa va intesa anche come rivoluzione politica. Non chi
non veda in questa impostazione una debolezza intrinseca per la sua sostanziale
inavvertitezza dei rischi di "gleichschaltung", oltre che delle potenzialit
liberatorie, della societ di massa, rischi che filosofi come Adorno, Horkheimer
e Marcuse individueranno acutamente proprio entrando in contatto con la
complessit della realt americana, che proprio della societ di massa esprime
il primo e forse pi autentico modello. Ma a parte questo aspetto di specifica
pertinenza sociologica, il progetto artistico di Moholy-Nagy rimane tuttavia
assai significativo e non solo per il suo generoso sforzo di rinnovamento dei
valori estetici, ma, assai pi in particolare, per la rigorosa e puntuale
analisi della facolt della visione che egli compie in stretta correlazione con
l'esame della struttura di nuovi media ottici quali la fotografia ed il cinema,
che di quella facolt costituiscono l'ideale estensione tecnica. Il fondamento
teorico di questa duplice analisi , al solito, estremamente semplice: l'arte ha
il compito di introdurre fra l'uomo e l'ambiente nuovi rapporti funzionali
(percettivi, immaginativi, sociali), soggettive (agendo come una sorta di
"inconscio ottico" secondo la posteriore definizione di Benjamin); per un altro,
la proiezione della luce direttamente sulla lastra sensibile pu fornire il
mezzo per una sorta di scrittura sperimentale non-segnica capace di realizzare
un astrattismo tecnologico che porta a compimento talune analoghe esperienze
d'avanguardia effettuate proprio in questa direzione da Man Ray, Viking Eggeling
ed El Lissitsky. Questarte deve insomma produrre nuovi rapporti e non
riprodurre specularmente quelli gi esistenti. Questa distinzione fra produzione
e riproduzione essenziale per capire luniverso estetico-creativo in cui
Moholy-Nagy colloca l'azione dei nuovi media ottici, il cui linguaggio consta di
due elementi essenziali: la cinetica delle forme e l'impiego della luce come
mezzo espressivo. Si va cos chiarendo quale sia lo specifico operativo che egli
assegna ai media ottici: non un processo di riproduzione naturale secondo la
meccanica della camera oscura, ma, ed in misura ben pi sperimentale, "la
sensibilit alla luce di una superficie trattata chimicamente"[3]
e quindi un fatto puramente tecnico che tuttavia viene caricato di un esplicito
significato estetico: la liberazione dell'espressivit figurativa dalle
modalit prospettico-realistiche. In questa prospettiva i media ottici si aprono
a metodi ed impieghi disparati: per un verso essi, perfezionando le facolt
visive dell'uomo, possono consentire un tipo di visione completamente depurata
da sovrastrutture.
Nel suo complesso
teorico-operativo, dunque, l'esperienza artistica di Moholy-Nagy nel campo dei
media ottici costituisce, accanto alla concomitante e non certo casuale attivit
di pittore, un'intensa e conseguente ricerca tesa ad approfondire la natura e le
possibilit di una nuova visualit, che trova nella tecnologia dell'immagine i
suoi strumenti privilegiati ed il suo universo creativo di riferimento.
[1]
G.C. Argan, in G. Rondolino, Laszlo Moholy-Nagy: Pittura Fotografia Film,
Torino, Martano, 1975.
[2]
M. McLuhan, Dall'occhio all'orecchio,
Roma, Armando, 1982.
[3]
L. Moholy Nagy,
Pittura Fotografia Film,
Torino, Einaudi, 1987.
(Alessandro Tempi
- 16/1/2005)
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