Ricordi e testimonianze su Terragni
di Luigi Zuccoli
- 3/5/2004
Pubblichiamo il secondo estratto da "L'architettura, cronache e storia" n.153 del 1968 dedicato a Terragni. L'intervento di Luigi Zuccoli, fidato collaboratore dell'architetto comasco. I testi e le selezioni critiche furono a cura di Renato Pedio. (La Redazione)
Ho conosciuto Terragni nel 1921 quando stava per ultimare il corso di fisica-matematica allIstituto Tecnico; era un ragazzone alto e robusto con un gran ciuffo di capelli corvini e ondulati di cui andava fiero e due occhi neri e vivacissimi. Denunciava fin da allora una notevole personalit e soprattutto la volont di primeggiare: ricordo le risate che faceva sfidandoci, noialtri pi giovani di qualche anno e pi mingherlini, a far ruotare il grande cancello che chiudeva il capannone delle barche da corsa della vecchia Canottieri Lario, impugnando i montanti sempre pi vicino alle cerniere. Ci batteva regolarmente quattro, cinque, dieci volte, godendo di questa superiorit. Non si dedicava allo sport e, salvo qualche passeggiata in barca o qualche nuotatina, le ore si passavano chiacchierando al sole o sfidandoci al cancello.
Tornai a Como dal servizio militare ai primi di novembre del 1927. Mi fermai, un giorno, ad esaminare le opere di restauro dei primi due piani dellHotel Suisse e trovavo interessanti e nuovi gli elementi architettonici, soprattutto le pensiline sugli ingressi, in ferro e vetro. Una manata sulla spalla: cosa fai qui?, e poi, con un sorriso di soddisfazione e la sua naturale sicurezza, dichiar che lHotel Suisse era una buona cosa perch ne era lui lautore...aggiunse subito linvito a presentarmi lindomani nel suo studio; e dal 15 novembre 1927 cominciai infatti a lavorare nello studio di via Indipendenza 23, la cui targa tuttora in opera era in quei giorni in preparazione dal marmista ed amico Franchini con caratteri classici disegnati da Terragni stesso.
Stava allora studiando alcune soluzioni del Novocomum, con schizzi e modelli. La sua personalit spiccava subito: la profonda conoscenza dei problemi, lo spirito critico, la sicurezza nellesporre il proprio pensiero con pochissime e precise parole. Serio, quasi sempre un p distaccato, di carattere molto buono e generoso, scattava con vivacit quando qualche cosa lo contrariava per poi concludere magari con linvito a bere o con lofferta di sigarette. Quel giorno e i giorni successivi mi parl dei suoi studi, mi dimostr come era passato attraverso le esperienze scolastiche progettando immense architetture quattrocentesche e nel contempo dedicandosi alla costituzione del Gruppo 7 e allo studio delle premesse teoriche della nuova architettura, gi pubblicate sulla Rassegna Italiana e ancora in continua elaborazione attraverso discussioni e scambi di idee coi membri del gruppo, ed in particolare con Figini e Pollini. Era assetato dalla volont di conoscere larchitettura di tutto il mondo e si preoccupava di trovare riviste e scritti da ogni parte, cosa particolarmente difficile in quegli anni. Era ammiratore di Gropius, Le Corbusier, degli olandesi, dei russi, dei giapponesi; ma trovava in tutti rigidit e freddezza, con la sola eccezione di Le Corbusier: che riteneva pi mediterraneo (era lespressione in voga), o meglio pi artista, pi lirico. Perch infatti, a mio parere, anche Terragni eramediterraneo nel senso che in lui sono sempre stati vivi i modelli classici dellarchitettura, dallantico Egitto a Micene, alla Grecia, al Quattrocento.
Terragni era un poeta e un uomo di vasta cultura artistica, nel senso che di essa aveva in s gli elementi fondamentali, quasi fosse egli stesso appartenuto alle varie epoche. Qualsiasi problema affrontasse, la soluzione gli veniva spontanea ed armonica, classica, tanto quando studiava una pianta o una facciata quanto, in qualche caso, disegnando una colonna, un capitello, una cornice. Le forme nascevano in lui con quelle proporzioni cosiddette classiche, pur se nella sua personale interpretazione.
A mio parere soprattutto la particolare cultura artistica di Terragni fece scaturire, dallincontro del 1925-26 per il Concorso per il Monumento ai Caduti di Como, la profonda e fraterna amicizia con Lingeri. Questa amicizia nata da unaffinit artistica permise ad ambedue di superare anche i momenti pi delicati dei rapporti fra loro, che qualche interessato tentava di guastare.
Il classico era per Terragni vitale conoscenza ed esperienza, non pedissequa imitazione. Ammirava limpianto di certi edifici egizi e greci, certe piante impostate su muri rettilinei a forti spessori, in grandi blocchi di pietra. Era attratto dai materiali in genere e provava emozione, come diceva, a modellarne sui disegni le forme, ad esaltarne le qualit intrinseche. Appena possibile usava il granito, che lo affascinava, inserendolo in grandi blocchi.
Meticolosissimo nello studiare gli accostamenti di un pezzo allaltro, gli incastri, i giunti, nel proporzionare le dimensioni, nel curare i distacchi con tagli di luce o di cristallo, con lo stesso entusiasmo voleva modellare il cemento armato e portarlo alle forme teoriche risultanti dalle variazioni di sezione in rapporto agli sforzi. Con altrettanta sensibilit usava i metalli e costringeva gli artigiani a nuove forme e nuove composizioni; giungeva a far fondere nuove serie di profilati, ad esempio per la costruzione delle porte della Casa del Fascio. Con altrettanta materia usava il legno . Estremamente onesto, gli capitava di buttar fuori dallo studio fornitori che cercavano accordi e anche clienti che non accettassero le sue soluzioni. Fu daltra parte proprio questa intransigenza ad impedirgli di accettare i compromessi con i magnati del regime, tipo Piacentini, e con i critici ufficiali, tipo Ojetti, e a portarlo a vivaci scontri coi colleghi che uno dopo laltro (escluso Lingeri e altri pochi) andavano a Canossa.
Ricordo la visita a Roma, su invito di Piacentini, di un gruppo di architetti milanesi per esaminare il grande plastico dell E.42. Terragni non disse parola, non rispose ad alcuna richiesta di parere. Solo guardando la chiesa sbott in dialetto: cosa l quella diavolada l?. E con questa battuta rinunci ad ogni probabilit di partecipare alla progettazione dellE.42. Partecip solo, in totale libert creativa, al Concorso per il Palazzo dei Congressi.
Con una certa facilit si dice spesso: Terragni era fascista. Che voleva dire essere fascista?
Terragni aveva 18 anni nel 1922; non apparteneva ad alcuna organizzazione di partito, non prediligeva le forme militaresche, non partecipava allattivit politica del regime. Non si cur discriversi al partito: vi fu reclutato di forza nel 1928, con un atto illegale della Segreteria della Federazione di Como che sostitu il suo nome a quello del fratello Silvio perito in un incidente automobilistico in cui fu coinvolto un autorevole gerarca comasco amico dei suoi fratelli. Questo dal punto di vista burocratico (una sorte non troppo dissimile capit a me); dal punto di vista politico ladesione fu blanda, direi indifferente e piena di contraddizioni. Mentre progettava e costruiva la Casa del Fascio, e allestiva con serio impegno una sala della Mostra della Rivoluzione, Terragni veniva definito da certa stampa del regime, unitamente a tutti gli artisti davanguardia, internazionalista, bolscevico, liberal-giudaico, ecc. In Italia erano dichiarate con estrema leggerezza (al contrario che in Germania, ove gli artisti moderni erano costretti ad emigrare) ugualmente fasciste le architetture di Piacentini e Terragni, i pittori davanguardia e quelli protetti da Farinacci. In un primo tempo il dittatore favoriva anzi gli scontri fra i gerarchi e involontariamente cos consentiva qualche respiro davanguardia, fino a quasi proteggere le Mostre di Architettura Razionale a Roma e la tavola degli orrori che conteneva pi di unopera piacentiniana. Questo stato di cose non dur: fiorirono discussioni e contrasti ma lo scoppio della guerra blocc ogni tentativo o velleit di revisione. Va detto, comunque, che Terragni reag alle leggi razziali: esse lavevano portato ad una certa reazione al fascismo almeno dentro di s e nelle confidenze con i pi intimi, tanto pi che era profondamente religioso e non poteva accettare discriminazioni di sorta; e che tra i nostri compagni di incontri quotidiani al Caff Rebecchi (Pollonio) per discutere o per interminabili partite e tressette, cerano i fratelli De Benedetti ebrei, stimati da tutti noi e che ci guardavamo bene dallisolare.
Ma il problema di una reazione politica attiva non pot porsi nel momento in cui maturava in molti di noi: Terragni fu quasi subito richiamato in servizio militare (ed ebbe subito la prova, se ben ricordo a Cremona, della scarsissima collaborazione fra esercito e milizia, dello stato di confusione e disagio, della mancanza di quellunit e solidariet che i gerarchi vantavano). Non vi furono forse in lui, come non ci furono in Radice e in Rho, prese posizioni radicali; ma lo sbandamento fu intenso, con manifestazioni di protesta fra le pi varie, come quella di non portare pi il distintivo. Poi, gli eventi precipitarono.
Tornato dal fronte russo non trov pi la serenit; croll una tragica sera sulle scale della fidanzata, la cara e fedele Mariuccia Casartelli, davanti ai suoi occhi, mentre si preparava come di consueto a passare alcune ore con lei in silenzio o scambiando poche parole sui fatti pi minuti. Era il 19 luglio 1943, sei giorni prima del colpo di stato.
(Luigi Zuccoli
- 3/5/2004)
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