Saggio di fine anno
di Enrico G.Botta
- 6/10/2003
Una tra le cose che mi ha sempre lasciato perplesso delluniversit
italiana che la maggior parte dei corsi che ho frequentato si risolvessero
nellesame e non lasciassero un segno. Molte volte mi successo di
sentire altri studenti dichiarare tragicamente adesso che ho fatto lesame
butto tutto, il che testimonia chiaramente lo scarso coinvolgimento emotivo
nel loro lavoro.
E evidente che percepire il proprio lavoro come importante per s
stessi, attribuirgli un valore duraturo ed esserne coinvolti su un piano emozionale
siano condizioni assolutamente necessarie per produrre cose di qualit,
o anche solo utili.
Un altro problema lisolamento in cui normalmente lavorano gli studenti
che, da soli o in gruppo, hanno un rapporto individuale con il professore (generalmente
con i suoi assistenti), ma quasi mai hanno lopportunit
di confrontarsi con il lavoro e le idee dei colleghi, di criticare ed essere criticati.
Le ragioni di questo risiedono nella particolare impostazione didattica delle
nostre universit, molto diversa, ad esempio, da quella anglosassone, fortemente
influenzate dal modello educativo della Bauhaus, che prevede che gli studenti
lavorino in spazi comuni.
Purtroppo, se da un lato gli studenti italiani hanno una preparazione culturale
generalmente migliore rispetto ai colleghi inglesi o americani, dallaltro
il metodo educativo delle nostre universit non gli consente di sviluppare
adeguatamente la capacit di comunicare le proprie idee in modo efficace
n in forma scritta, n tramite la rappresentazione, n tanto
meno verbalmente.
Il corso di Progettazione Architettonica Assistita, che Antonino Saggio tiene
alla Facolt L. Quaroni e che ha recentemente chiuso la sua
edizione 2003 con la sessione desame del 24 e 25 luglio, rappresenta unanomalia
nel sistema italiano appena descritto.
Lesame-evento di TExp 2003 ha messo in luce la grande peculiarit
di un corso che pone la comunicazione e linterazione al centro non solo
dellelaborazione progettuale, ma anche del suo stesso impianto didattico.
Credo che stia in questo il principale carattere di novit rappresentato
da questa esperienza.
Se, infatti, il corso ricalca per alcuni aspetti, specie nelle sue modalit
desame, limpostazione anglosassone che prevede presentazioni orali
pubbliche per i corsi progettuali, questo modello comunque
superato dal potenziamento degli aspetti comunicativi sia allinterno (interazione
studenti/docenza e studenti/studenti) sia allesterno dellambito scolastico:
gli studenti, infatti, per la comunicazione delle loro proposte preparano delle
pagine web normalmente accessibili dal web. In questo modo il lavoro svolto nellambito
del corso ne travalica i limiti sia spaziali che temporali, diventando di fatto
patrimonio comune.
Questo fatto apparentemente banale, che non comporta nessun costo e solo poche
conoscenze tecniche, in realt rivoluziona il modo di lavorare degli studenti
e soprattutto favorisce il diffondersi della cultura della condivisione delle
idee che tanto stenta ad affermarsi: spesso gli studenti, per necessit
o indolenza, si limitano al ruolo di recettori, mentre sarebbe necessario far
comprendere come un ruolo attivo nella comunicazione di idee sia la base per qualsiasi
crescita culturale, sia individuale che collettiva.
Nonostante questi indubbi meriti, la sua anomalia rispetto a ci che normalmente
accade nelle facolt italiane e il carattere innovativo dei suoi strumenti
didattici, il corso del Prof. Saggio esemplifica bene quali possano essere le
conseguenze di un atteggiamento che prediliga la forma ai contenuti. Per carit,
le condizioni generali dellinsegnamento in Italia sono talmente disastrose
che intervenire anche solo sulla forma pu essere cosa degna di lode, per
sino a che punto ha senso giudicare le esperienze solo in senso relativo?
A mio modo di vedere, specie quando il termine di paragone non rappresenta una
sfida qualitativa, il valore relativo di un risultato irrilevante, quindi,
sebbene lesperienza di TExp 03 abbia sicuramente aspetti validi
e importanti (come ad esempio promuovere il ruolo di emettitori
degli studenti), presenta anche aspetti che ho trovato fortemente negativi e in
un certo qual modo inquietanti, sia relativamente alla realt italiana
sia nellambito generale del dibattito architettonico internazionale.
Purtroppo questi lati negativi non riguardano cose di poco conto ma coinvolgono una
delle cose pi importanti di unesperienza educativa, cio
il sistema di valori che implicitamente, al di l delle espressioni, delle
nozioni, delle tecniche e degli strumenti, viene trasmesso agli studenti. In pi
occasioni durante le presentazioni ho avuto una percezione chiara di questo sistema
che inesorabilmente emerge dai lavori di un corso e la cui responsabilit
interamente del docente.
I lavori del corso, che il lettore pu agevolmente esplorare qui: http://.../texpo03/
, affrontano il tema di una possibile Exp lungo il Tevere, sulla falsa
riga di quella tenutasi lo scorso anno in Svizzera.
La prima cosa che mi lascia perplesso proprio la scelta di un tema simile.
Il giudizio apertamente positivo di Saggio sullesperienza svizzera
per me del tutto infondato: certo, temi sperimentali hanno trovato loccasione
per una realizzazione concreta, ma forse questo un motivo sufficiente
per giudicare positivamente un enorme spreco di denaro che ha prodotto futili
oggetti come ledificio nuvola di Diller e Scofidio o il cubo di Nouvel?
E lexpo come strumento per lavanzamento dellarchitettura
davvero efficace?
LExp svizzera ha sicuramente catalizzato lattenzione mediatica,
servita a far pubblicit a progettisti e a idee innovativi, non
dico di no, ma nella realt dei fatti non ha rappresentato nessun passo
significativo in avanti. Che segno ha lasciato ledificio nuvola? Gli aspetti
tecnologici, sicuramente i pi rilevanti di molte delle proposte dellExp,
non vengono dagli architetti, i quali si sono limitati a impiegarle per usi futili
o circondarle con ambientazioni glamour.
Il prof. Saggio ha spesso insistito sulla concretezza delle proposte elaborate
dagli studenti, sulla loro effettiva realizzabilit. Purtroppo per
la maggior parte di queste proposte si dimostrata scarsamente convincente
riguardo al perch dovesse essere realizzata. Il fatto che tecnologie sofisticate
(e molto costose) consentano di modellare una pista da skateboard in modo interattivo
non significa che la si debba fare, che abbia senso farla, che sia una cosa giusta.
Da questo deduco che tra i valori impliciti di cui parlavo evidentemente non figurano
considerazioni di carattere etico, funzionale o anche solo di praticit.
Possibile che con tutte queste tecnologie non si riesca a produrre qualcosa di
intelligente? Piste da skateboard, cocktail bar, centri benessere, spazi per concerti,
bolle galleggianti che si spostano con la forza del pensiero, sembrano essere,
secondo gli studenti e secondo chi glielo ha fatto credere, le priorit
assolute sia per luomo sia per larchitettura. Se con si non fosse,
perch non scegliere un tema diverso? Perch non indirizzare i progetti
in altre direzioni?
Non si chiede ad un corso universitario di affrontare la totalit delle
problematiche sociali, economiche, tecnologiche, produttive, ma anche scientifiche,
artistiche, metodologiche, con cui il futuro architetto sar chiamato a
confrontarsi, ma neppure si pu accettare che le ignori completamente.
La totale mancanza di solidit dellelaborazione concettuale come
del suo sviluppo in una proposta architettonica un comune denominatore
dei lavori presentati. Tutti sanno che spesso non possibile, nellarco
di un semestre, produrre un progetto completo, e nessuno lo pretende. Invece
necessario pretendere la profondit, il rigore e la consapevolezza: la
profondit nel conoscere il problema che si vuole affrontare, la sua analisi,
di cui unindagine bibliografica (che molti dei progetti sfoggiano)
solo il primo passo. La profondit nellelaborare una posizione critica
nei confronti del problema e non il semplice assorbimento di posizioni convenzionali;
il rigore nellutilizzo di strumenti e metodologie adeguati, nelluso
della terminologia e della rappresentazione. Luso della comunicazione per
distorcere la percezione, fisica o intellettuale, di un oggetto o di un concetto
non una cosa accettabile, personalmente la trovo una cosa offensiva;
la consapevolezza del contesto culturale e disciplinare in cui si opera, la consapevolezza
delle implicazioni della propria proposta.
In conclusione di questo lungo intervento vorrei spiegarne brevemente la ragion
dessere. Non si tratta di affossare unesperienza che, come ho detto,
presenta anche molti lati positivi, ma di stimolare una discussione sullinsegnamento.
Nessuno insegna a insegnare e un vero dibattito sullinsegnamento in architettura
non c. Io sono convinto che il modo in cui si insegna e cosa si
insegna abbiano il ruolo principale nellinfluenzare la produzione architettonica
in una nazione, visto che quella italiana si distingue per il suo squallore forse
il caso di cominciare ad occuparsi da cosa e come si insegna nelle nostre
facolt.
(Enrico G.Botta
- 6/10/2003)
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Commento 421 di Fausto Capitano del 08/10/2003
Cosa s'insegna resta un mistero; come si insegna nella memoria di noi tutti. Lo sforzo indifferenziato pare sia sempre stato quello di far crescere negli Allievi la coscienza di ci che si fa, in funzione di ci per cui lo si sta facendo.
Una tendenza altrettanto indifferenziatamente infiltrata nei Corsi, pare sia sempre stata quella di iniziare gli Allievi alla "citazione architettonica". Tendenza stracolma di buoni propositi che nel terreno lussureggiante e amorfo della mente dello Studente si traduce da sempre in "ora scopiazzo ci che piace al Prof. e cambio un po' qua un po' l, leggo un po' 'sto critico un po' l'altro e faccio vedere che ho studiato".
Da mezzo secolo esiste, dunque, un bivio. Raccogliere dati, alla ricerca di un prodotto architettonico da plagiare per non adoperarsi a trovare soluzioni con metodo e fatica, una direzione; raccogliere dati per comprendere quali sono stati i risultati procedurali di chi si impegnato in problemi simili a quello in oggetto di studio, farne una cernita critica, riflettere sui loro connotati positivi e su quelli negativi ai fini del perseguimento del proprio target progettuale, far tesoro degli errori e/o delle conquiste degli altri per ottimizzare le proprie scelte e rendere pi efficaci i propri atti creativi, tutt'altra direzione.
E' inutile sprecare tempo a dire quale delle due quella giusta (oggettivamente giusta). E' inutile, anche, puntualizzare quale sia, da sempre, la direzione privilegiata lungo la quale s'incanala lo studente medio (con l'avallo sconsolato dello "spallato" Prof. medio). Ma non superfluo evidenziare la potenzialit sottosfruttata (e fraudolentemente celata) della seconda strada, nei confronti della consuetudine (cognitivamente lenta e metodologicamente stagnante) diffusa nei luoghi di eccellenza specializzati nella trasmissione del sapere, di offrire ad allievi confusi e distratti un "tranquillo pacchetto" (delimitato e statico) di opere magistrali e di esemplari maestri (conoscenze selezionate non sempre con parametri oggettivi di qualit e sostanza), icone di un rifugio dall'incapacit apparente di aver nuove buone idee, ripari contro il fluire (marchiato come caotico e pericoloso) di una conoscenza che oggi dinamica come mai prima.
Gli allievi, incitati indirettamente a trovare nuove idee per primeggiare non si sa bene in che cosa e perch (come se fosse a loro deputata la missione impossibile di inventare tutto daccapo ogni giorno), non riuscendovi, accettano con rassegnazione il pacchetto accademico di pronto soccorso contro il fallimento e, percependo come troppo alto il gradino sul quale piazzato, si limitano a guardarlo da lontano e a copiarne le fattezze nei loro prodotti creativi.
Ora, chi legge pu anche scegliere di coprire queste poche righe con frasi fatte e confutazioni elaborate, ma resta la realt di un andazzo che si delinea proprio in tal modo; resta la realt circoscritta di "allegre truppe con condottiero unico" che fanno la loro brava parata di fine anno in un salottino di cara buona "Accademia in erba" impreziosita da genitori orgogliosi e spettatori non paganti che s'inventano cronisti di una normale seduta di esami (roba da matti!). Sorvolando sull'argomento ritorniamo, per un momento, sulla potenzialit perduta, insabbiata e minimalizzata nella seconda direzione del bivio: nell'eden dei buoni propositi, i dati raccolti (tra i quali compariranno certamente grandi opere di grandi maestri) si analizzano "portandoli a terra", toccandoli con mente aperta e non suggestionabile, scoprendo i particolari delle scelte progettuali in relazione agli obiettivi oggettivi che dovevano, in quella circostanza, essere raggiunti. Si scindono i valori estetici da quelli tecnici, gli inputs filosofici da quelli pratici. Si scoprono i difetti, si appuntano le buone soluzioni; si mettono da parte i prodotti fuori dal tempo e dai bisogni, mentre si studiano quelli che sembrano offrire spunti a vantaggio della contingenza progettuale.
Non esistono maestri esemplari, non esistono opere magistrali; ci sono solo buone idee e cattive idee che hanno preceduto le nostre, venute in mente ad individui creativi che si sono sempre mossi con metodo anche quando hanno voluto far credere di essere stati travolti da non comune energia artistica scesa come manna dal cielo sulle loro teste da eletti.
Nell'eden dei buoni propositi (o delle allucinazioni) esiste tutto ci; nella realt, a causa di Insegnamenti affogati in 60 giorni operativi, a causa di ritmi didattici frenetici, a causa di Professoroni che impongono e non propongono, a causa delle mode, ecc., nella realt (dicevo) gli allievi copiano, giocano solo superficialmente con i prodotti magistrali, plagiano alla meno peggio, fanno l'esame e vanno avanti (o indietro!) nella loro ascesa ad una professione per la quale non trovo, in questo momento, attributi pregnanti da scrivere qui di seguito.
Per farla semplice semplice, nell'Universit media, durante le ore dell'Insegnamento medio, il Professore medio non trasmette allo Studente medio le sostanze giuste per perseguire sempre nuovi ideali estetici partendo dai valori etici dell'atto creativo (il bello la conseguenza del giusto). Non c' il giusto insegnare e non c' la bella architettura. Punto e daccapo.
Tutti i commenti di Fausto Capitano
Commento 464 di Antonino Saggio del 03/11/2003
Ringrazio dell'attenzione (cosi raramente esercitata per la didattica universitaria) e delle osservazioni di E. Botta. Il programma del Corso di cui ci si discute nell'articolo accessibile da questo link.
ProgrammaCaad2003.HTML
Mi si chiede di chiudere la forbice invece di aprirla vieppi. Osservazione plausibile, che non mi sente affatto lontano
...coffeebreak/.../index.htm
Un forte saluto ai lettori e ai redattori degli scritti
Prof. Antonino Saggio
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