Andrea Branzi sulla linguistica architettonica
di Andrea Branzi - Bruno Zevi
- 13/2/2003
Articolo tratto interamente da "L'architettura cronache e storia", n234 dell'aprile 1975
Il grande patrimonio linguistico e culturale del Movimento Moderno lentamente ma inesorabilmente sta dissolvendosi, senza avere raggiunto nessuno dei traguardi che si era prefisso. Ci che resta oggi di tutte le esperienze pi avanzate di almeno cinquantanni della recente storia dellarchitettura, dai nuovi modelli di urbanizzazione a una nuova civilt dellabitare, sembra poter essere riassunto nelle sette invarianti, piccolo ma completo compendio delle novit compositive dellarchitettura moderna. Dunque al momento di eseguire il mandato testamentario della architettura moderna ben poco resta in mano se non un generale atteggiamento antisimmetrico, che potrebbe essere ricondotto forse a quel perenne conflitto tra lo spirito Apollineo e lo spirito Dionisiaco presenti fin dalle origini nella cultura occidentale
Elencando oggi le sette invarianti come patrimonio vivo e possibile del Movimento Moderno si scavalca per lanalisi della crisi profonda dellarchitettura; crisi che non , o non soltanto, crisi compositiva, ma malessere che cela una pi radicale dimensione, una impossibilit a vivere dellarchitettura nel mondo attuale.
E vero che oggi esiste una estesa ignoranza progettuale, ma non credo che proponendoun pi dinamico capitolato dappalto sia possibile reinserire larchitettura nella vita, dalla quale esclusa in maniera sempre pi definitiva.
Io credo che sia giunto il momento di analizzare questa crisi, verificando gli strumenti che larchitettura predispone, la qualit che essa propone, gli stessi presupposti urbani sui quali oggi essa agisce.
La crisi che stiamo traversando non linguistica, ma investe lesistenza stessa dellarchitettura, come operazione culturale e tecnica e come atto disciplinare, formale e culturale.
Le dimensioni di tale crisi, la sua natura, o meglio le sue molteplici nature, vengono quotidianamente vissute da ognuno di noi, come cittadino o architetto; le analisi che di tale crisi vengono fatte, sono nella stragrand maggioranza dei casi rivolte alle occasioni mancate, verso le inefficienze amministrative, le corruzioni politiche o contro lo strapotere della speculazione; ma tali analisi, forse proprio a causa di cos complesse condizioni avverse, non sono mai rivolte verso la crisi interna dellarchitettura, verso i limiti oggettivi della citt come strumento di vita, verso limiti ormai esplorabili di una disciplina che vive una propria contraddizione storica e intravede la propria possibile morte naturale allinterno di pi ampi e profondi fenomeni di trasformazione culturale e sociale.
Il grado di obiettiva arretratezza della disiplina architettonica e urbanistica nei confronti di tutte le altre tecniche umane, dalla produzione industriale alla ricerca scientifica, un dato di fatto che difficilmente pu essere imputato a semplici disfunzioni locali; la tragedia delle metropoli, la morte dei villaggi, lincubo architettonico, sono divenuti temi costanti della nostra esperienza quotidiana, e rivelano non solo il fallimento, ma i limiti operativi di una cultura urbanistica e formale che affronta ancora le dimensioni macroscopiche degli agglomerati urbani, conservando strumenti progettuali almeno inadeguati alle attuali necessit.
E gran tempo di porsi gravi domande, e di trarre alcune prime conclusioni.
La metropoli, che un tempo stata la scena madre del progresso divenuta il settore pi arretrato e compromesso dellintero quadro del sistema; pi che un problema non risolto la citt sembra un problema storico superato dalle stesse forze politiche ed economiche che determinano le ideologie e guidano la storia sociale e tecnica.
Viene da chiedersi se il Potere si pone ancora oggi, come nei secoli passati, il problema della gestione dellea propria immagine e del proprio funzionamento al livello della forma urbana, o se piuttosto linsieme delle trasformazioni avvenute o in atto non ha trasferito i suoi sistemi di identit su un altro piano, trasformando il concetto stesso di citt.
Diciamo anche che la citt il luogo dove si realizzano e si esaltano tanto le contraddizioni del sistema, dove i conflitti sociali trovano lo spazio fisico dello scontro, e che la citt la struttura che pi di ogni altra opera lintegrazione e lassuefazione dellindividuo nei meccanismi culturali e sociali. In questo complesso gioco di contraddizioni e temporanei equilibri le qualit urbana e architettonica restano oggi escluse, e, come strutture formali, non intervengono sul piano della qualit della vita se non in una misura infinitamente inferiore e sproporzionata rispetto ai capitali e alle energie messe in moto.
Ci che oggi possiamo almeno dire che luomo progetta e vive dentro la metropoli usando criteri di giudizio assolutamente fuori scala rispetto alla realt, facendo continuamente riferiment a una sorta di archetipo primario di citt, come a un sogno corticale emergente, anche inconsciamente, in ogni decisione urbana.
Non potendo superare il limite architettonico della metropoli, viene creata una serie di riferimenti minimi attraverso i quali permettere ancora lesercizio di un giudizio, anche se solo sul piano della pura gratificazione visiva.
Le panchine di granito sulla Park Avenue,le fioriere del Rockefeller Center,le fontane elettroniche sul sagrato
E chiaro che questi limiti critici diventano un peso al progresso stesso del fenomeno urbano e alla sua possibilit di affrontare le nuove dimensioni con nuovi strumenti culturali oltre che tecnici.
Se il problema di una megalopoli ancora quello dei fiori sul davanzale, chiaro che il problema della citt non sar mai risolto. Larchitettura non ha il coraggio di lanciarsi verso la non-qualit verso la sospensione dei suoi vecchi sistemi di controllo oramai essiccati e privi di funzione.
essa resta chiusa nel suo concetto di spazio, di limite e di giudizo, bruciano, sporcano, usano, sprecano, asportano, ma infine liberano tutte le strutture formali, fino a renderle neutri strumenti di vita. La qualit architettonica ancora sottintesa in qualsiasi forma urbana; per essa estranea totalmente ai criteri scientifici di cui gi largamente la pianificazione territoriale pu disporre. Una cosa utilizzare un servizio urbano, una casa, una scuola, un ospedale, e una cosa servirsi del messaggio culturale, che la forma architettonica di tale servizio continua, nonostante tutto, a trasmettere allutente. Questo messaggio culturale, anche se espresso attraverso una qualit linguistica e culturale scadente o quasi incontrollata, in realt costituisce un grave intralcio allorganizzazione e al funzionamento del territorio urbano. La pianificazione territoriale, che si definisce come una corretta politica urbanistica, deve nella sua fase finale passare la mano a strumenti che non sono politici.
Cos assistiamo da una parte ad una disciplina urbanistica che lavora allindividuazione di una zonizzazione secondo criteri tecnici e non formali, chiedere allarchitettura una sorta di verifica visuale del vaolre civile delle proprie scelte. Dallaltra vediamo larchitettura che pur utilizzando strumenti compositivi tradizionali, cerca attraverso questi di restituire allegoricamente al cittadino la qualit di un processo politico.
Cos si cerca di rendere omogenee duequalit, quella formale e quella politica, attribuendo alla prima valore sociale, e alla seconda valore estetico.
Oggi la progettazione di strutture urbane coincide interamente con la progettazione di strumenti legali ed amministrativi. La forma di queste strutture sempre individuata dallarchitetto per assonanza allegorica, per similitudine tecnologica.
Basta vedere, in questo senso, i risultati di tanti concorsi internazionali di questi ultimi anni. La soluzione die problemi sempre cercata in un salto discala.
Il plastico, come strumento sintetico di rappresentazione del progetto, divenuto esso stesso il progetto: la sua assurda perfezione esorcizza il sicuro fallimento qualitativo della realizzazione. Gli effetti formali che esso rappresenta saranno percepibili solo sorvolando ledificio con laeroplano: landamento plastico delle coperture, del tutto invisibili nella realt, sono nel plastico la dimensione principale ed hanno assunto lo stesso ruolo che un tempo, nei progetti tradizionali, svolgeva la facciata. Gli stessi strumenti progettuali sono legati ancora alla simulazione dimensionale, alla miniaturizzazione della realt; questi limiti storici, oltre che tecnici, tendono a far s che larchitettura tenda a rappresentare i problemi che incontra, pi che a risolverli effettivamente sul piano delluso. Il progetto di una scuola oggi costituito dallimmagine formale che meglio rappresenta il funzionamento distributivo e sociale della scuola stessa: la scula come edificio deve rappresentare una scuola: simmetrica se autoritaria, organica se democratica. Il fatto che probabilmente la soluzione migliore per una scuola potrebbe essere un piano di segatura coperto da un tendone da circo, non presa neppure in considerazione. Lurbanistica non usa ancora oggi parametri di giudizio differenziati per accostare progettualmente fenomeni urbani di scala diversa, come METROPOLI, CITTA e VILLAGGI.
gli strumenti di studio di tale agglomerati vengono differenziati solo per quanto riguarda il volume del traffico o i mercati delle aree, ma generalmente resta ferma negli specialisti del settore la convinzione che tra questi fenomeni (metropolo, citt e villaggi) non esiste che una diversit di scala.
Anzi il giudizio di qualit inversamente proporzionale alla loro dimensione, per cui il villaggio rappresenta loptimum tra i modelli di urbanizzazione, per il raggiunto equilibrio tra individuo, spazi urbani e forma complessiva, e la metropoli viene giudicata in rapporto allo stesso parametro, cio alla misura in cui essa riesce a conservare alcuni valori propri del villaggio.
Questa continuit allinterno della diversit dimensionale dovrebbe garantire la permanenza di una dimesione umana (come normalmente si sente dire), anche nei grandi agglomerati. La delinquenza givanile, la droga, il problema dei vecchi, diventano il sintomo della scomparsa di tale qualit.
Come abbiamo gi detto, il rapporto visuale che lega il paesano al suo villaggio (il campanile, la chiesa, la piazza, il monumento) resta lo stesso che accompagna il cittadino nella metropoli; per lurbanista non ancora oggi comprensibile una struttura urbana che non coincida con un certo sistema di rappresentazione di se stessa.
La mediazione architettonica tra lindividuo e la sua citt, o tra lindividuo e la natura, resta la soglia limite al di l della quale lurbanistica non riesce a verificarsi.
La metropoli, nella sua articolazione di eventi urbani come momenti scenici diversi, fornisce allindividuo la struttura fondamentale che organizza la sua esperienza e la sua memoria urbana.
Lo strato di citt che egli per di fatto utilizza arriva fino alla quota di pochi metri da terra: come dice Kevin Lynch, egli costruisce dei tunnel memoriali nella citt, strettamente privati, che gli permettono di realizzare un proprio sistema di immagini, che vanno dalle insegne luminose a singoli elementi di arredo urbano.
Prendiamo lesempio di Manhattan: il cittadino che percorre la maglia regolare delle sue strade si trova sempre nello stesso punto figurativo, nel senso che egli non attraversa episodi planimetrici differenziati, ma ha sempre dabvanti a s una struttura prospettica elementare costituita dallincrociarsi perpendicolare di due strade.
La sua esperienza urbana giunge fino alla lettura delle scritte stradali e al di sopra di quella quota (5-6 metri) la citt non pi un fenomeno che egli percepisce.
Il grattacielo non pi il supermonumento immaginato negli anni trenta: unaccumulazione indifferenziata di metri cubi che pu raggiungere anche quote vertiginose, ma che non interviene pi di fatto afigurare lesperienza urbana del cittadino. Tale accumulazione di metri cubi parte da una base distributiva elementare, molto bassa (che quella che il cittadino fruisce figurativamente), e si sviluppa proporzionalmente allaccumulazione del capitale sul suolo.
Traversando manhattan possiamo verificare la variazione di un diagramma qualitativo costituito dal materiale di rivestimento del basamento degli edifici. Ci che avviene al di sopra di questa quota non ha importanza, e sul piano dellesperienza urbana non esiste assolutamente. Se Parigi ancora una citt costituita di parti sceniche assemblate, Manhattan gi un circuito integrato.
LEmpire State Building si propose a suo tempo come una mega-cattedrale di un improbabile mega-villaggio nel quale le distanze tra lindividuo e larchitettura erano ancora quelle della tradizione prospettica, e non erano ancora superate dal realizzarsi appunto di un rapporto integrato tra cittadini e strutture urbane. La civilt industriale nata nella citt, e nella citt ha identificato i propri modelli culturali e di comportamento, perch la citt significava il commercio, i traffici, lo sviluppo tecnologico, realt queste che avevano una alternativa preliminare costituita dalla campagna. La campagna ha sempre rappresentato, nellideologia della borghesia urbana, larea immobile, dalle cui tradizioni e tecnologie si poteva misurare il cammino percorso dal progresso.
La citt si stagliava nel paesaggio come concentrazione vertiginosa di tutte le innovazioni, come luogo esclusivo della storia politica ed economica.
Oggi, allinterno della societ programmata, le diverse zone geografiche, le aree produttive, le diverse economie non sono pi in conflitto tra di loro, ma sono funzioni diverse di un tutto omogeneo. Non esiste pi niente, di fisico e di sociale, che non si trovi allinterno di questo.
Tutto questo ha stabilito un nuovo rapporto economico e culturale tra citt e campagna: lunit della citt nel paesaggio si realizza innanzi tutto nellunit degli interessi economici. Il terreno, nella logica della Pianificazione, un dato omogeneo e continuo, non interrotto idealmente che da accidenti geografici.
La metropoli, come concentrazione, non che il residuo dellaccumularsi spontaneo degli interessi economici sul suolo, dove la concentrazione urbana corrisponde allincremento della rendita fondiaria, ma di fatto genera una discontinuit pi apparente che reale con il territorio e le sue funzioni produttive.
La metropoli come concentrazione corrisponde alla prevalenza delle attivit terziarie su qualsiasi altro genere di attivit, e corrisponde alla fase in cui la gestione degli interessi si organizza sul luogo stesso degli scambi, mentre in una societ economicamente programmata i controlli possono essere demandati da strutture politiche scalate progressivamente sul territorio, ottenendo un controllo effettivo e profondo su questo.
La possibilit retorica di penetrare nel territorio per raggiungere qualsiasi suo punto, la necessit di distribuire in maniera omogenea il traffico su di questo, per mettere in collegamento diretto ogni sua parte con le altre e con il tutto, ha di fatto superato il concetto ottocentesco della citt-capolinea, collocata ai vertici di reti ferroviarie, al termine delle sequenze paesaggistiche.
La metropoli come concentrazione edilizia ha sempre garantito unaltissima densit di comunicazioni merceologiche e culturali, una sorte di selva nella quale la merce e linformazione circolano naturalmente e vi acquistano valore, mossa dalle differenze di potenziale interno al tessuto urbano. Lo shock stimola la creativit individuale e fornisce significato a tutti i modelli di comportamento; li genera e li brucia. Ma nella dimensione attuale linformazione merceologica e i modelli di consumo non usano pi come strumento di circolazione preferenziale la macchina urbana e i suoi sistemi segnaletici; la diffusione dei suoi modelli di consumo ha gi adottato tutti i media elettronici e le telecomunicazioni come massiccio ed omogeneo sistema in grado di sostenere artificialmente i consumi attraverso linduzione della domanda e del bisogno apparente, in ogni luogo e in ogni momento.
I media elettronici garantiscono una penetrazione profonda del messaggio, una loro circolazione omogenea sul territorio: larchitettura resta una forma di comunicazione culturale e un supporto merceologico immobile nello spazio, che deve essere raggiunto in pellegrinaggio, incapace di mutarsi nel tempo, testimonianza di un ordine tecnologico del tutto formale, e di una unit culturale gi superata nella vita quotidiana e nella storia.
Larchitettura come medium qualitativo comunica ancora e soltanto sul piano dellallegoria formale, e su quello della mediazione funzionale, e resta legata al concetto di luogo, conservando capovolto il rapporto con il suo consumatore, che deve muoversi per ricevere il suo messaggio.
Larchitettura di fatto, rispetto a tutte le altre culture rimasta in una fase pre-Gutenberg
Lequilibrio naturale che la citt pu fornire al sistema di comunicazioni sociali superato nel momento in cui essi diventano natura attraverso lazione profonda dei media elettronici che gli garantiscono una modificazione permanente e dinamica di tutti i costumi di vita.
La metropoli che ha perduto nel tempo il proprio ruolo di rappresentazione sociale una metropoli che perde l immagine di se stessa.
La metropoli cessa di essere un luogo per divenire una condizione; tale condizione che viene fatta circolare in maniera omogenea nel sociale attraverso i consumi.
Essere cittadino oggi non vuol dire pi abitare in un luogo, in una strada urbana, ma vuol dire adottare un determinato modello di comportamento, fatto dallabbigliamento, dal linguaggio, dallinformazione stampata e televisiva: fin dove arrivano questi media arriva la citt.
Non esiste pi una cultura esterna al fenomeno urbano, o al significato dintegrazione produttiva che esso possiede, nella misura in cui non esiste una campagna legata ad una reale logica alternativa, non esiste un luogo che in qualche modo e in qualche misura non sia in comunicazione con la citt e con i suoi modelli. E lo sviluppo della produzione di serie e la circolazione sociale della merce che ha creato una nuova condizione urbana mobile, esportabile allesterno di qualsiasi area metropolitana ma che possiede tutte le caratteristiche che un tempo furono della citt.
Lazione ideologica dei prodotti industriali sullindividuo integrante; esso adesso che fa circolare attraverso questi prodotti milioni di metri cubi di citt in forma di prodotti di serie, e ogni giorno molte di queste citt (molecolari) fantasma entrano in circolazione, si consumano, diventano spazzatura dentro le vecchie citt immobili e di pietra.
La dimensione della megalopoli allora non pi quella di un mostruoso gigante nato nellinvolucro della vecchia citt, legato ai suoi vecchi equilibri e ai suoi vecchi modelli, ma la dimensione del mercato stesso che supera la distinzione tra urbano e agricolo, per diventare la societ stessa. La metropoli come sistema di rappresentazione del sistema economico non ha pi necessit di esistere, dal momento che il sistema si rappresenta benissimo da solo attraverso la merce. Gli sforzi per attribuire ancora alla citt questa funzione figurativa, come macchina gigante, come struttura degli scambi, come strumento mostruoso di accumulazione, non serve ad altro che a trasformare in ununica immagine una struttura che possiede milioni dimmagini.
Lindustria non pi quel grande ready-made da scoprire, paese delle meraviglie illogiche, delle tecnologie surrealiste, deserto che la cultura pu esplorare per scoprirne i tesori nascosti: lindustria una catena di montaggio che assolve solo alla propria specifica funzione meccanica.
I sistemi di rappresentazione del sistema sono ormai altri che la citt: sono la conquista della luna, sono le resine indistruttibili, sono i parchi nazionali, sono la bomba atomica.
Fine ultimo dellarchitettura sempre stato l eliminazione dellarchitettura stessa. Questo avviene per il concorso di due diverse forze. Come struttura razionale tendente a risolvere il maggior numero di problemi funzionali, ad un livello tecnico ottimale, larchitettura moderna tende a raggiungere soluzioni e tipologie definitive, a intendere cio la soluzione dei problemi come una progressione verso leliminazione di tutti i problemi aperti, attraverso la loro successiva soluzione.
Essa tende cio a collocarsi come processo progettuale che raggiunge soluzioni non culturali, ma scientifiche, dei problemi abitativi. La fiducia di muoversi allinterno di una metodologia definitiva, flessibile ma razionale, ha sempre confortato una larga componente del Movimento Moderno, come una sorta di utopia naturale, non dissimile dallatteggiamento di molte attivit di ricerca scientifica.
Il grado di inseorabilit di molte soluzioni e di una diffusa metodologia didattica, cercano di far transitare oltre la storia, e quindi oltre la cultura, gran parte dellarchitettura moderna, che sembra cos poter raggiungere una soglia di sicurezza inamovibile, che la salverebbe da giudizi storici e da ulteriori evoluzioni linguistiche e formali.
Contemporaneamente larchitettura moderna, come struttura culturale cerca di garantire il maggior numero di gradi di libert allutente, allinterno di una figurazione la pi rigida possibile; essa riconosce nel fenomeno urbano il suo vero destino, e nel privato la sua vera natura.
Le sette invarianti rappresentano questo conflitto permanente dellarchitettura, tra la dimensione di coinvolgimento individuale e lordine generale astratto dellarchitettura;nella cultura classica lordine predomina su ogni esperienza singola ed anzi d ad essa una direzione, e quindi un significato.
Allora larchitettura da una parte si presenta come una prefigurazione nel particolare di un ordine generale a lei identico, e dallaltra si pone come testimonianza di ogni singolo fenomeno abitativo del quale quellordine generale deve tener conto.
Il conflitto dunque tra individuo e architettura, tra pura fenomenicit e ordine universale, tra non-significato e messaggio artistico.
Conflitto e non dialettica, perch in termini di scontro che oggi si pone tale rapporto, dal momento che che tutti gli atti di auto-liberazione che lindividuo compie, sono destinati a collocarlo fuori dai vincoli inibitori della morale codificata, dellestetica e della cultura.
Il movimento di liberazione delluomo da questi codici di comportamento tende a fargli recuperare la cultura come pura energia creativa e alla definizione spontanea della propria identit.
La coscienza di questo diritto, a produrre e consumare la propria cultura, si scontra con lorganizzazione di tutta la societ attuale, basata sul lavoro produttivo e sulla divisione sociale di questo, che determina da una parte lattuale professionismo intellettuale (per cui una ristrettissima parte della societ produce cultura), e dallaltra la grande massa che di questa cultura riceve solo il consumo, sotto forma di prodotti, strutture, modelli di comportamento, che simulano nellutente luso delle proprie facolt creative di fatto atrofizzate.
Il problema di fondo dellarchitettura, e della cultura, non la partecipazione, ma la libert: Le Corbusier propose la pianta libera, la facciata libera, il terreno libero dalledificio attraverso i pilotis, uso libero delle coperture ecc., ponendo il problema della libert al centro della qualit architettonica.
Per Le Corbusier imposta tale problema ancora in termini architettonici, cio compositivi, confermando il ruolo di figurazione e di mediazione sociale proprio della tradizione storica dellarchitettura.
Tale mediazione svolta dallarchitettura in termini di allegoria, ma si esaurisce quando i rapporti tra realt particolare e generale cessano di essere oggetto di ipotesi reciproche e stabiliscono tra di loro un confronto direttamente ed esclusivamente politico.
Il progresso stesso quindi, sociale e culturale, a cui larchitettura partecipa rimuove lentamente le sue stesse premesse di struttura culturale, cio ideologica.
Larchitettura si trova per sua natura al centro di un incrocio dove confluiscono le contraddizioni di fondo di tutte le attivit progettuali, le quali tendono oggi (sotto la spinta della scienza) a raggiungere soluzioni definitive e nello stesso tempo a garantire (sotto la spinta della crescita sociale) l assoluta relativit di ogni oggetto privato come difesa delluomo contro gli ordini universali che lo condizionano e lo limitano. Da una parte cio si tende a superare la soglia superiore del significato, collocandosi sopra la storia, e dallaltra si tende a superare la soglia inferiore del significato collocandosi dentro le parti infinitesimali della storia stessa.
Complessivamente oggi larchitettura tende a risolvere il suo problema esistenziale eliminando se stessa.
Parlare di fine dellarchitettura non vuol dire proporre un ritorno alle caverne, ma dichiarare storicamente e socialmente finito il ruolo culturale di questa. Esistono strutture di servizio alle quali nessuno attribuisce valore culturale: una metropolitana, un elettrodotto, una coltura agricola, non vengono valutati per la forma che possiedono (anche se possiedono una forma), ma per i servizi che offrono.
Storicamente alcune strutture hanno perduto nel tempo il loro ruolo di comunicazione visuale per diventare neutra disponibilit tecnica: un acquedotto ai tempi dei romani era un monumento territoriale, per motivi tecnici ma anche politici, ed oggi non rappresenta che una soluzione di ingegneria idraulica.
Esiste quindi una soglia del significato nella realt che ci circonda; larchitettura sta per passare questa soglia, e per entrare nel limbo delle realt che non comunicano, ma che servono semplicemente a vivere.
Gi oggi pi presente e importante alla nostra cultura la qualit della luce, del calore, del regime acustico, del microclima di un ambiente, che non le leggi compositive che presiedono la sua formazione strutturale. e forse questo il suo destino segretamente agognato.
Bruno Zevi su Andrea Branzi
Il nucleo del discorso di Branzi riguarda unacuta, magistrale, ineccepibile analisi della crisi del ruolo funzionale, rappresentativo e concettuale della metropoli. Possiamo sottoscriverlo per intero: infatti, la storia sociale intesa come mera storia della citt un anacronismo ottocentesco, anzi un falso ereditato dal Rinascimento e corroborato dal dogma classicista. Da William Morris in poi, la cultura moderna, polemizzando con la tradizione rinascimentale e classicista, si rispecchiata nel Medioevo; tale processo non stato immune da equivoci, ma ha favorito una presa di coscienza della dimensione territoriale confutando il mito dellegemonia urbana.
Il dissenso, se mai, attiene alla premessa e alla conclusione del discorso. Per Branzi, la crisi della metropoli coinvolge inesorabilmente quella del movimento moderno; per noi, invece, ne conferma la validit dimostrando a quale catastrofe porti laverne ignorato i principi. Brandi opina che il dibattito sulle sette invarianti induca a scavalcare lanalisi della crisi profonda dellarchitettura, crisi che non , o non soltanto, compositiva. Noi, al contrario, riteniamo che la crisi dellarchitettura sia pienamente verificabile nel linguaggio, le cui invarianti non sono affatto compositive, ma graffiano contenuti e comportamenti, realt esistenziali e sociali. La lingua lo strumento con cui comunichiamo e pensiamo; non pu essere paragonata ad un capitolato dappalto.
Vogliamo riscontrare il nostro punto di vista sullanalisi della metropoli svolta da Branzi? Ebbene, se larchitettura non ha il coraggio di lanciarsi verso la non-qualit, verso la sospensione dei suoi vecchi sistemi di controllo oramai essiccati e privi di funzione, la colpa anche degli architetti che restano irretiti in una ricerca di qualit meramente formalistica e in sistemi di controllo scontati, di matrice accademica; non sanno destrutturare il linguaggio, non sanno azzerarne le convenzioni, non tornano alla prima invariante, allelenco, allinventario, cio alla non qualit (in chiave di cosmesi compositiva) delle cose vere.
Analogamente, se la qiualit architettonica ancora sottintesa in qualsiasi forma urbana, ci dipende dal fatto che gli architetti applicano alle citt la logora nozione di forma urbana; il movimento moderno lha sempre combattuta, tanto che la settima invariante postula la reintegrazione edificio-citt-territorio.
Esatto quanto afferma Branzi in merito al plastico, come strumento sintetico di rappresentazione del progetto; ma il linguaggio architettonico moderno ripudia l assurda perfezione dei plastici, mira a sporcarsi, ad ingoiare il Kitsch. E ancora: se il progetto di una scuola oggi costituito dallimmagine formale che meglio rappresenta il funzionamento distributivo e sociale della scula stessa, a chi ascriverne la colpa se non ai proggettisti tuttora succubi di tali tab tipologici? Qualora parlassero in modo moderno, rifacendosi al grado zero della scrittura architettonica, esaminerebbero senza pregiudizi anche la possibilit di una scuola ridotta a un piano di segatura coperto da un tendone di circo. Veniamo allesempio di Manhattan. Dice Branzi che lEmpire State Building si propose a suo tempo come una mega-cattedrale di un improbabile mega-villaggio nel quale le distanze tra lindividuo e larchitettura erano ancora quelle della tradizione prospettica. Giustissimo, ma quale conseguenza trarne? Che larchitettura moderna attuale e pungente con la sua terza invariante, la tridimensionalit antiprospettica, e con la sua quarta, la scomposizione quadridimensionale, solo tenuemente inverata nel Rockefeller Center.
Larchitettura come medium qualitativo comunica ancora e soltanto sul piano dellallegoria formale, e su quello della mediazione funzionale, e resta legata al concetto di luogo. Che genere di architettura? Certo, quella statica, monumentale, simmetrica, assonante, finita, chiusa in s; ma non quella dinamica, mobile, magari dellinstant city, propugnata dal movimento moderno. E, dallaltra parte, che le sette invarianti rappresentino questo conflitto permanente dellarchitettura, tra la dimensione di coinvolgimento individuale e lordine generale astratto dellarchitettura attesta della loro pregnanza, specie considerando che il coinvolgimento anche collettivo e le invarianti servono a sconfiggere lordine generale astratto e repressivo.
La morte dellarchitettura riguarda dunque soltanto il cadavere classicista, il cui ruolo culturale e visuale da tempo finito. Se davvero larchitettura sta per passare la soglia del significato e per entrare nel limbo delle realt che non comunicano, me che servono semplicemente a vivere, facciamo un brindisi! Al movimento moderno non interessano le comunicazioni sovrastrutturali e allegoriche, ma quelle cariche di significato oltre la soglia accademica- che discendono dal vivere concreto. In questa ottimistica, raggiante ipotesi, dovremmo celebrare la nascita dellarchitettura moderna, dopo la tormentata e gloriosa gestazione.
(Andrea Branzi - Bruno Zevi
- 13/2/2003)
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Commento 286 di Carlo Sarno del 14/02/2003
"...se la qualit architettonica ancora sottintesa in qualsiasi forma urbana, ci dipende dal fatto che gli architetti applicano alle citt la logora nozione di forma urbana; il movimento moderno lha sempre combattuta, tanto che la settima invariante postula la reintegrazione edificio-citt-territorio..." risponde Bruno Zevi ad Andrea Branzi.
Si, mi sembra che il nucleo dell'argomentazione sia proprio qui : LA REINTEGRAZIONE EDIFICIO-CITTA'-TERRITORIO. Dice Bruno Zevi nel suo libro il Linguaggio moderno dell'architettura :"...crolla ogni distinzione tra spazio interno ed esterno , tra architettura e urbanistica , dalla fusione edificio-citt nasce l'urbatettura ..." e ancora "...la reintegrazione architettura -natura va operata scientificamente , sulla base di studi antropologici , sociologici e psicanalitici...". In parole semplici , Bruno Zevi tende alla reintegrazione architettura-urbanistica-vivere felice dell'uomo.
Il maestro dell'urbanistica organica italiana Luigi Piccinato gi dagli anni quaranta sulla mitica rivista Metron , portavoce dell'A.P.A.O. (Associazione Per l'Architettura Organica , nata nel 1945) , poneva la questione della reintegrazione della citt con il territorio e con la vita felice dell'uomo.
Ma ancor prima Frank Lloyd Wright poneva le basi della settima invariante zeviana , e il suo pensiero lo troviamo ben espresso nella sua ipotesi per Broadacre City e con le sue stesse parole , nel libro La Citt Vivente , il cui titolo gi un programma : "... la citt nuova non da nessuna parte se non ovunque . Lo spazio diventa vivente , per poter essere goduto e per poterci vivere ... Questo il nostro sviluppo , l'integrazione spirituale con la vita quotidiana . Semplice perch universale conservazione della vita , e la felicit ne la conseguenza inevitabile ... ".
Con la fiducia negli uomini che sapranno in futuro organicamente reintegrare la vita e l'abitare con l'architettura e il territorio, mi unisco al brindisi di Bruno Zevi alla vittoria della vita !
Carlo Sarno
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Commento 10900 di Franco Galardi del 23/11/2011
Nella pratica della professione sento sempre la necessit di confrontarmi con i modelli classici, quelli dell'architettura di pietra scolpita a mano, che come la scultura restituisce l'opera dopo un lavoro sapiente.
Queste architetture in pietra, nelle forme classiche, sono il linguaggio eterno che parlano nel presente, anche se le biblioteche che esse contenevano sono ormai estinte. Quindi all'architettura si affidato, ma ancora oggi si deve affidare il senso di un messaggio che supera i secoli.
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