La metropoli romana e la Citt della Musica
di Luca Scalvedi
- 21/12/2002
Il cerimoniale dellimmagine parlante in un orizzonte deconcettualizzato.
Certamente occorre attendere per un giudizio finale sul nuovo Auditorium di Roma. Gli spazi aperti devono essere completati, lintero complesso vissuto a pieno regime nelle diverse configurazioni duso. Eppure questa grande opera gi solleva opinioni contrastanti: larga approvazione da un lato, attesa tradita dallaltro. Le qualit oggettive sono evidenti, ma in cosa consiste, allora, questo sentimento di delusione? Riassumo in quattro punti gli aspetti pi controversi.
1. CONNESSIONI FISICO-PERCETTIVE CON LA METROPOLI. La Citt della Musica genera nuovi dialoghi a distanza, ma se zenitalmente o alla dimensione dilatata del territorio la sua immagine, fondata su unipervalutazione della componente scalare, appare coerente e ben inserita nella citt, non altrettanto (o per lo meno non del tutto) si pu dire delle vedute pi ravvicinate, dove acquistano valore le triangolazioni con lesistente, laccostamento fra le parti, i campi materici, le discontinuit, i vuoti. Dallaereo, da Monte Mario, in parte anche dalle colline dei Monti Parioli e del Fleming, il gigantismo dimensionale e lestraniazione figurale si accentuano in termini di monumentalit e vigoria insediativa. Dal viadotto di corso Francia si assiste a una progressiva perdita di peso delle connotazioni particolari, e la corsa automobilistica verso sud, nel flusso della pista sopraelevata, spettacolarizza il continuo mutamento della forma che nel suo insieme rompe lunit delle parti. Al contrario, le viste da villa Glori traguardano confusamente gli scorci panoramici mentre dal pianoro del Villaggio Olimpico, tanto pi ci si avvicina allAuditorium quanto pi entra in crisi la relazione spaziale con gli elementi attigui e fra le stesse parti del nuovo complesso. La diminuzione di qualit percettiva alla scala ravvicinata si amplifica, poi, nel rapporto con le strade al contorno.
Qui si conferma lesito di un distacco fra riconoscibilit figurale, permanenza simbolica dei luoghi e riorganizzazione dello spazio urbano. L'elegante viadotto di Pierluigi Nervi, gi depauperato di alcuni elementi significativi (loriginario e originale sistema di illuminazione), ora negato nellaggancio con il viale Maresciallo Pilsudsky, dove literativit prospettica e altimetrica delle curve biforcazioni letteralmente tappata dalla promiscua adiacenza del cosiddetto Edificio Anulare, di per s incapace di entrare intimamente in relazione con esso. Perch non coinvolgerne maggiormente leco di modernit lavorando sulle trasparenze, sui vuoti piuttosto che sui pieni? Non sufficiente una ricomposizione della veduta dallinterno dellEdificio Anulare, al piano dei camerini presso latrio, seppure valorizzata da una doppia altezza e da un contrasto vegetazionale. Viceversa, in via Pietro De Coubertin, dove sarebbe stata possibile uninteressante collisione prospettica con la sopraelevata, il paludato portico del nuovo Edificio Nord - del quale colpisce la trascuratezza iconografica della facciata - si spinge oltremodo in vicinanza innescando un confronto caricaturale, sia nei rapporti di scala che nella reazione linguistica fra gli elementi. Evidentemente per chi punta allefficienza della macchina del suono nellautonomia del proprio modello dintervento, rimodellare sottilmente le connessioni contestuali un obiettivo secondario. Daltra parte gi nel 1993 i profili del progetto vincitore prospettavano pi interessanti volumi sfaccettati su uno sfondo indefinito di una generica citt-parco che annullava ogni reale specificit. Osservare i disegni per credere.
2. FORMA/FUNZIONE (E FANTASIA?). Le tre sale dellAuditorium di Renzo Piano rientrano nel filone delle architetture specialistiche che puntano a un design molto spinto dei contenitori con lobiettivo programmatico di conseguire la prestazione tecnica pi performante e ottenere un forte grado di espressione. Un fare progettuale lontano dalla dimensione dellutile, secondo cui leconomia di materia, energia e lavoro corrisponde alla forma pi adeguata. Nel caso della Citt della Musica questa strada incentivata da due metafore, una tematizzazione formale con fini tecnici, la cassa armonica, e un mascheramento organicista, ledificio zoomorfico. Ci produce una traslazione simulativa che rischia rispettivamente di separare architettura e tecnica e di confondere il rispetto della natura con il ricorso a forme e materiali della natura stessa. Il risvolto edilizio di questo programma coincide con un massimo sforzo di individualizzazione delle componenti di copertura che lascia perplessi nei rapporti finali tra forma e funzione. Un contenitore individualizzato nella forma dovrebbe coincidere, infatti, con la presunta liberazione, oltre che della purezza sonora, anche dello spazio interno, con la spinta esplorativa verso inesplorate spazialit nel superamento fra un dentro e un fuori. Ma al di l di un mimetismo deconcettualizzato e purovisibilista (vengono in mente per contrasto lironica tautologia del binocolo di Gehry o il pi coerente mostro metropolitano di Bercy, sempre di Piano), questa performance imitativa, dichiaratamente tesa allottimizzazione del vantaggio acustico, non trasferisce nella tridimensionalit dello spazio interno le possibilit offerte dalla ricca variabilit morfologica che linvolucro produce.
Non tanto dentro le sale da concerto, dove - sebbene si poteva fare molto di pi in questa ottica - si assiste al primato del materiale sulla forma e alla mobilit delle componenti per conseguire la finitezza sonora, ma negli altri ambienti al coperto, in cui emerge unincomprensibile non corrispondenza: la vistosa organizzazione morfologica dei contenitori non interessa gli spazi distributivi, nemmeno soddisfa un panorama concettuale di superamento della bellezza solo espressiva attraverso luso topologico, trasfigurativo o tematizzato dei materiali, e cede il passo allordinariet senza alcuna ricaduta emotiva e polisensa nella qualit degli interni. Lambiguit che si viene a creare fra il contenitore futuribile e monumentale e la convenzionalit interna di uno spazio decisamente tradizionale, alla quale sembra sottrarsi lo spazio interno della sala da concerto pi grande, si concentra nel foyer in corrispondenza della sala da 1200 posti. Se non fosse per il controsoffitto in ciliegio americano e per le bronzee porte vetrate, esso apparirebbe come l'ingresso di una stazione della metropolitana, con troppe scale, pochi ascensori e un'incombente clima catacombale degli spazi serventi asserito dallassenza di luce naturale. Bisogna entrare nella grande sala prove per rintracciare lo spazio pi convincente: ciclopici pannelli in legno foderano per intero le superfici verticali risvegliando finalmente nellosservatore un sussulto emotivo.
3. MATERIALI/DETTAGLI. Molto stato scritto sui campi materici principali, il laterizio sabbiato e il piombo, sul carattere reazionario di un conformismo romanesco, di una congruit materica (altra forma di mimetismo forzoso) di origine prescrittiva da pagare alla Soprintendenza e al gusto dominante come costo fisso per un accesso edilizio nella citt storica (ma non solo) e su una scelta di rivestimento delle coperture che, al contrario, dileggia la comune identit metallo pesante-volume concluso aprendo nuove possibilit configurative pur sempre in continuit materico-cromatica con la storia delle emergenze principali dello skyline romano. Ma ci che da lontano appare come un felice paradosso tettonico per il capovolgimento di senso nelluso di un materiale tradizionale (sollevo, modello e rendo sottile ci che per definizione pesante e compatto) e che produce un fascinoso paesaggio didascalicamente post-atomico (il piombo, schermo contro le radiazioni per antonomasia), nella fruizione ravvicinata perde di valore concettuale e si sfarina per la presenza eccessivamente anedottica di troppi materiali. In pochi metri quadrati si alternano piombo, legno, travertino, superfici tinteggiate, laterizi, ferro zincato e, passeggiando presso la cavea da tremila posti, il concept si smorza drasticamente stemperandosi nellinutile visibilit di molti dettagli: dalla sottolineatura dei particolari di bordo, con le cornici in travertino lungo lo spigolo inferiore delle tre casse armoniche a sbalzo verso lemiciclo della cavea (la solita insensibilit estetico-progettuale nelle giunture fra le subcomponenti) alle copertine sempre in travertino, stile Morpurgo di piazza Augusto Imperatore, alla messa in crisi dellinvolucro avvolgente e quadripartito nei vuoti di separazione e negli spazi interstiziali, nelle asole fra una superficie e unaltra e sotto i gusci laterali, i cosiddetti riccioli. E in questo punto approda di tutto: da improbabili arcarecci nostalgicamente sagomati, a una selva di strutture metalliche in ferro zincato che alterano la sintesi figurativa del programma, i temi della sala sospesa e della copertura sfogliata. Alcuni dettagli, equivoca testimonianza di un contributo artigianale, denunciano oltretutto una sorta di narcisismo sfrenato che rasenta il solipsismo; fra tutti lelemento terminale dei gusci laterali, pensato in massello di teck eseguito a disegno, fortunatamente non realizzato.
4. SPAZI APERTI. Allo stato delle cose lallestimento dei 40.000 mq del Parco della Musica appare a molti come unoccasione progettuale persa. Un sistema di piazze-giardini pi creativamente tematico, ne avrebbe meglio sottolineato la valenza pubblica di area per lo svago aperta allartista e al cultore dell'arte musicale. Ho gi accennato a una retorica ambientalista contenuta nel progetto di concorso. Lidea di una vegetazione lussureggiante che stabilisce un collegamento con il vicino parco di villa Glori, da un lato appare come messa in scena dellennesimo atto mimetico, dallaltro contrasta ambiguamente, per disposizione e localizzazione delle aree piantumate, con loggettualit implicita nella degustazione percettiva delle casse armoniche (il naturale esclude lartificiale). Per come trattata, la nozione di natura rigogliosa non rimanda ad alcun aspetto di ordine spirituale nella celebrazione del rapporto fra luomo e la natura stessa. Una disarmante adeguatezza di matrice naturalistica si appropria dei differenti contesti, il suolo artificiale nel sedime del parcheggio interrato, la promenade semi-anulare dei giardini pensili a ridosso del viadotto di Nervi, le aree residuali e di bordo, persino gli scrigni vetrati dei patii interni, dove linstallazione vegetale non utilizza nel suo impatto sensoriale pi esoteriche relazioni fra natura e artificio. Non si tratta di stupire, ma di non rinunciare a una funzione civica, dunque propositiva, dellarchitettura. Come per il progetto del verde, in cui la corporeit sensuosa e vivente delle essenze e dei supporti minerali avrebbe potuto costituire un valido artefatto paesistico, a parte lo sfondo pur sempre pastorale delle sei querce da sughero per la cavea allaperto, gli spazi aperti sono desolatamente sguarniti di incongruit e sorprese sensoriali, e nella strutturazione delle parti, delude la logica dintervento secondo la pratica superficiale dell"elemento aggiunto", in un ottica di cosiddetto arredo urbano. Altri temi discussi: lalgida monomatericit della pavimentazione in travertino ha il pregio di rafforzare il continuum interno-esterno, ma nelle giornate estive, quando la radiazione solare pi intensa, si produce un bagliore accecante particolarmente fastidioso. Nello stesso periodo, a questo disagio visivo si aggiunge uno stress termico derivante dallinadeguatezza della superficie vetrata nella pensilina dellEdificio Nord, moltiplicatrice di calore invece che di ombra. La villa romana: ferisce linconsiderata ostilit al moderno espressa dal disegno della scala che conduce nella fossa archeologica in adiacenza alla sala pi grande.
(Luca Scalvedi
- 21/12/2002)
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Commento 359 di Angelo Errico del 23/06/2003
22 giugno 2003
Leggendo la critica sulla Citt della Musica (e per fortuna si tratta di critica, quindi non di polemica o di atrito per partito preso contro Piano) si evince un certo provincialismo adottato in alcune scelte tecnico formali in abbinamento a delle espressivit dell'architettura ardite e di slancio innovativo.
Non ho visto ancora il complesso edilizio nel momento stesso in cui sto scrivendo, ma non mi risulta difficile immaginare che alle varie innovazioni ci si sia trovati a dover risolvere delle questioni innegabilmente compromettenti, la cui soluzione doveva essere a vantaggio di alcune questioni per esserlo a compensazione, a tutto svantaggio di altre.
Anche l'intervento nel porto di Genova con il suo scenico acquario, parlandone con le imprese che ci hanno lavorato, ha dei problemi che sono sorti soprattutto a posteriori, un p per una certa fiducia nelle previsioni, un p per una certa supponenza nel trasformare l'anfratto in un piccolo borgo marino misto a un parco disneyland ittico.
Credo che in Italia, Piano a parte, sia difficile intervenire volendo ardire con le scelte progettuali da una parte, e sottostare a vincoli e restrizioni dall'altra. In questo contrasto in vero sta l'abilit e la capacit del vero architetto con la A maiuscola, ma ritornando alle parole in apertura, ben vengano critiche come questa sulla citt della Musica, che non di immacolata concezione progettuale, e che con i suoi errori, non ancora diventata (e difficilmente credo lo potr diventare) un mausoleo dell'inutilit come una cattedrale nel deserto, o se vogliamo vedere bene esempi recenti, come molti campi di calcio che son stati realizzati per le mosche e le zanzare. Ah, quello di Piano a Bari l invece tutto da vedere.
Angelo Errico
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