Arrivano i soldi per il Samon; s, ma per fare cosa?
di Alberto Montalbano
- 23/5/2002
Pubblichiamo l'articolo che il Direttore de "L'Otto e Mezzo" -settimanale di Sciacca- ha scritto in merito alla vicenda del Teatro Popolare
Lo scorso fine settimana si svolto a Sciacca un convegno dal titolo "Conversazione di architettura in Sicilia", organizzato dalla rivista on-line Antithesi e da In/Arch Sicilia.
S' parlato di architettura negata e di opere incompiute. D'altra parte il convegno si tenuto a Sciacca non solo perch uno dei responsabili della rivista Antithesi il saccense Paolo Ferrara, oggi architetto in quel di Milano, ma anche e soprattutto perch la nostra la citt di quel teatro Samon che campeggiava nell'invito.
Io ho potuto assistere solo alla giornata conclusiva del convegno, svoltasi sabato pomeriggio all'auditorium del San Francesco, e dunque eviter ogni commento.
Del destino del teatro Samon mi pare invece che sia il caso di parlare.
Tot Cuffaro venuto recentemente a ripromettere il completamento del teatro, ripromettendo un finanziamento miliardario. Ora, pare chiaro che il problema del Samon sia solo in parte legato al completamento dell'opera in s.
Mettiamo che il teatro venga completato. Immediatamente dopo nascer il problema della gestione, del come utilizzarlo.
Questo un primo evidente errore. Se verr completato per come era stato immaginato, l'unica maniera in cui potremo utilizzarlo sar come teatro, in base cio al progetto originario.
Ma un teatro di quelle dimensioni e per quel numero di spettatori, pu essere gestito in una citt come Sciacca senza provocare buchi nel bilancio?
Se perfino la Scala di Milano non riesce a sopravvivere senza le sovvenzioni pubbliche e gli sponsor privati, come possibile immaginare che invece il nostro teatro potr autofinanziarsi?
Questa domanda dovrebbe precedere qualunque ipotesi di completamento, altrimenti rischieremo di buttare al vento altro denaro pubblico per completare un'opera che poi non potr essere aperta, con il rischio, tante volte concretizzatosi, che il teatro venga abbandonato a saccheggiatori e vandali.
Quando venne immaginato, negli anni '70, il teatro era gi sovrastimato rispetto alla nostra citt. Fu, all'epoca, un esempio di gigantismo e di megalomania senza precedenti.
In una citt in cui mancavano le fogne, in cui l'acqua arrivava e ancora arriva con il contagocce, in cui i servizi latitavano, si pens bene di realizzare un teatro gigantesco e uno stadio da ventimila posti (ovvero la met della popolazione residente).
Si prese questo progetto che faceva bella mostra di s al Metropolitan Museum di New York e lo si trapiant a Sciacca.La logica non molto diversa da quella di Saddam Hussein, che ha fatto innalzare monumenti e mausolei costosissimi nella sua Baghdad.
Che il teatro sarebbe rimasto incompiuto era facilmente prevedibile, dal momento che non c'erano le condizioni minime di partenza per realizzarlo. Non occorreva essere n dei geni n degli indovini per capirlo.
Oggi non ha pi senso completarlo secondo il suo progetto originario.
Prima di gettare al vento altri miliardi sarebbe meglio discutere pubblicamente che cosa vogliamo farcene del Samon, come vogliamo utilizzarlo.
Vogliamo pensare di completarne solo una parte? Di adibirlo a parcheggio?Di destinarlo a sala congressi (ma che senso avrebbe, con lo splendido auditorium del San Francesco che appena pochi metri pi in l)?
Vogliamo immaginarlo come un monumento allo spreco o alla megalomania di una certa classe dirigente, lasciandolo cos com', senza buttarci altri soldi, magari recuperando, con due lire, tutto lo spazio antistante per realizzarvi un teatro all'aperto che abbia come sfondo proprio il Samon?
Vogliamo trasformarlo in un museo, in un albergo, in una base di lancio per missili balistici, in una centrale nucleare?
Se preliminarmente non affrontiamo questa discussione e non ci confrontiamo sul destino dell'opera, i finanziamenti promessi da Tot Cuffaro saranno solamente l'ennesimo spreco.
Di opere completate sulla carta ma poi abbandonate ai vandali piena la nostra isola. Non crediamo, in tutta onest, che ce ne servano altre.
(Alberto Montalbano
- 23/5/2002)
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