3 commenti di Paolo Giordano
22/12/2011 - Sandro Lazier risponde a paolo giordano
Io credo che chiunque voglia occuparsi di critica, visto che farlo azione risoluta anche se in tutto gratuita, debba per forza considerare larchitettura come un fatto principalmente artistico. Altrimenti, se cos non fosse, sarebbe del tutto inutile perder tempo in chiacchiere e teorie, lasciando alla funzionalit della prassi il solo metro di giudizio. Azione, questa, che gioverebbe alla razionalit della biologia e della meccanica sociale, ma costringerebbe lo spirito umano ad un letale digiuno emotivo.
Larchitettura, come fatto artistico, astratta quindi dalla contingenza della funzione, ai nostri occhi appare come un fatto del tutto formale, essenzialmente comunicativo, anche se la sua vocazione originaria stata sicuramente quella di servire alcune necessit abitative. Spesso vediamo edifici di cui non conosciamo le funzioni interne; la cosa, per, non ci fa minimamente riflettere sul fatto che, chi lha progettato, avesse o meno in mente alcune precise attivit. Diamo la cosa per scontata, per abitudine mentale, anche se, come in quasi tutti gli edifici storici, la funzione pensata allepoca del progetto stata in seguito totalmente rivoluzionata. Oggi accettiamo queste architetture da un punto di vista formale, senza chiederci altro. Non capisco, quindi, perch ci si debba raffreddare nellinsegnamento, quando laspetto morfologico risulta principale rispetto ad ogni altra questione. La stessa teoria rigorosa, che vorrebbe la forma subordinata ad una funzione precisa, ha come esito evidente, per esempio nelle ristrutturazioni dove il contrasto chiaro, la traduzione di questa funzione in una nuova morfologia, in un rinnovato linguaggio che andr ben oltre la contingente funzionalit che lha concepito. del tutto inutile, a parer mio, tentare di sottrarsi alla forma ignorandola o subordinandola.
Vivendo oltre ogni contingenza, essa tende a condurre una vita propria, costruendo culturalmente le civilt. Preferisco, per finire, lesuberanza formale in forma schietta e disinvolta rispetto a quella, molto pi ipocrita, che trova solo minuscole brecce nella frustrante solidit compositiva del tradizionalismo accademico. Il formalismo rischioso, ma indubbiamente fecondo e innovativo. Ottime qualit per uscire dalla crisi contemporanea.
Commento
925
di Paolo Giordano
del 09/07/2005
relativo all'articolo
Diritto d'Autori - il diritto a un ricordo... il d
di
Davide Crippa
Gent.mo Mariopaolo Fadda,
"le opinioni sono come i coglioni: ognuno ha i suoi" sosteneva un certo Gaber, personaggio assai poco raccomandabile in odore di vetero marxismo venato di anarchismo, la specie peggiore.
Dunque lei ha espresso la sua, nonostante tutto, rispettabile opinione. Lo ha fatto con degnissime e dotte argomentazioni. Eppure traspare dalle sue parole un astio mal represso che vanifica, nella sua coerenza, le tesi addotte.
Mi perdoni, ma la sua accusa di 'marxismo organicista' quale "spettro che si aggira" per le universit italiane (e che, come conquistador, ha fatto "piazza pulita") avr pur qualche fondamento, ma appare come le parole dell'omino che sostiene che la cultura italiana sia in mano alla sinistra, come se la cultura fosse un'azienda controllabile a maggioranza d'azionato.
Il problema che lei solleva, per quanto riguarda l'Italia, mi sembra irrilevante dal punto di vista ideologico. Semmai dobbiamo lamentarci che ad una ormai conclamata caduta delle ideologie non vi sia successo alcunch. O meglio, si lasciato campo libero ad una non-ideologia, cio il mercato.
Sono d'accordo con Speaks, e quindi con lei, che una teoria che voglia essere onnicomprensiva (vogliamo dire olistica?) nel suo interesse del reale, non pu che essere d'ostacolo allo sviluppo di una cultura innovativa, la quale ha invece necessit di quegli 'uncertain spaces' dai quali trae la sua linfa. Eppure se il pensiero architettonico non innervato da una pur minima impalcatura teorica, dove andiamo a ricercare la coerenza interna del progetto? Oppure dobbiamo rassegnarci al fatto architettonico come gesto estemporaneo (magari spontaneo)? Oppure, come accade adesso, legato pi al glamour dell'evento che alla sostanza?
Quanto al metodo scientifico (galileiano, prova e riprova) del pensar-facendo non mi convince troppo come metodo esclusivo di progettazione. Troppe le problematiche che il fare architettura comporta da poter essere risolte in un tecnicismo che, come gi accade, fine a se stesso. Sarei comunque felice di poterlo sperimentare, se soltanto si presentassero un poco pi di occasioni. Come lei ben sa lItalia non ancora lAmerica, almeno non per tutti.
Sostenere legemonia della scuola marxista sulla cultura italiana, e sullItalia tutta, mi pare, francamente, un poco allarmistico. Essa talmente sfumata nella sua caratterizzazione ideologica (con sollievo delle nostre nonne che di fronte allo spettro bolscevico raccomandavano sempre di tenere docchio i bambini, non si sa mai) da non essere riconoscibile. Prova ne sia che talvolta, allinterno della stessa sinistra italiana, si sviluppano posizioni antitetiche quando non di contrasto.
Anche di fronte allaffossamento che ella fa dellintellighenzia architettonica italiana, il problema grave non che sia marxista - sui generis, pi radical-chic e bon vivant che altro ma che sia, da trenta-quarantanni a questa parte, sempre la stessa, composta dagli stessi soggetti che hanno accesso a media e riviste. Dunque un problema di ricambio generazionale, pi che ideologico.
Sulle idee confuse degli studenti, per quanto mi consta, non ci giurerei troppo. Semmai il problema delle universit italiane, pervase da unondata di disimpegno generalizzato e politically correct, che non stimolano a farsene, di idee.
Cordialit
Paolo Giordano
Commento
912
di Paolo Giordano
del 07/06/2005
relativo all'articolo
Giancarlo De Carlo morto
di
la Redazione
Gent.mi
Sandro Lazier e Paolo G. Ferrara, posso dire di sposare per intero quanto affermato nel commento de La redazione. In aggiunta vi invio alcune righe che mi sono permesso di preparare nella giornata di domenica, non appena saputo del decesso. Le avrei voluto inviare a tutti gli iscritti della mailing list della ns. associazione dei Giovani Architetti del Canavese. Poi, un po' temendo di venire etichettato per passatista, ho soprasseduto. Preso dal timore di esternare quelle opinioni che De Carlo ci insegnava a difendere. Ci mancher la sua presenza tutelare.
Cordiali saluti
Paolo Giordano
"(...) Quali erano i nostri sogni (si allude al Team X, n.d.r.)? Cosa ne resta oggi? Naturalmente alcuni di essi erano sbagliati, ma meglio avere sogni sbagliati che non averne del tutto. I protagonisti di quella vicende (il Movimento Moderno, n.d.r.) avevano fatto molti errori - Le Corbusier arriv la punto di pensare che Mussolini avrebbe potuto aiutarlo a favorire l'architettura moderna - ma se si pensa alla loro passione, anche al fatto che erano pronti a vendersi l'anima per realizzare la propria idea di architettura, beh, credo che tutti loro meritassero e meritino un incredibile rispetto.Oggi invece, tutti questi architetti che - anche se con talento - creano edifici identici ovunque, che cosa fanno davvero? Hanno un'idea del mondo, una Weltanschauung? Che sogni hanno?
Io credo che se c' una possibilit di uscire da questa posizione scivolosa, di omologazione, solo quella di aiutare l'architettura a tornare ad avere un punto di vista e un'idea del mondo che ci circonda. E vedo alcuni segnali intorno a noi, dove dappertutto ci sono giovani - giovani non organizzati - che cercano qualcosa di nuovo, che vogliono cambiare il volto dell'architettura. Pu darsi che non ne abbiano i mezzi, ma hanno un desiderio e una tensione con i quali dobbiamo fare i conti. E aiutarli a cercare qualcosa di nuovo nella molteplicit di eventi che accadono insieme, forse in modo confuso, attorno a noi; perch io credo davvero che in questa confusione ci sia qualcosa di interessante".
(da un'intervista a Giancarlo De Carlo di Stefano Boeri, Peter Davey, Axel Sowa, Domus 874, ottobre 2004)
Nella mattina di sabato 4 giugno Giancarlo De Carlo morto a Milano. Aveva 85 anni.
Le righe che riportiamo sono parte dell'ultima intervista rilasciata dall'architetto prima che la malattia ne costringesse l'astensione, con l'unica eccezione della laurea ad honorem in Pianificazione Territoriale rilasciatagli dal Politecnico di Milano il 15 dicembre 2004, dalle 'scene pubbliche'.
Crediamo che siano le parole non di un 'vecchio Maestro', quale senz'altro stato, ma di un 'giovane', con quell'impeto e quella speranza che troviamo con difficolt tra noi stessi che giovani lo siamo davvero, ma solo per anagrafe. Forse l'impasse teorico e culturale di cui tutti siamo testimoni potrebbe trovare motivi di spinta al superamento da un dibattito che includa una riflessione attorno alla scottante attualit dell'eredit teoretica di alcuni personaggi del panorama architettonico italiano troppo frettolosamente messi in un angolo per seguire le sirene dell'architettura mediatica.
Alcuni mesi fa, pur intuendo la seriet della malattia di De Carlo, facemmo il pensiero di interpellarlo - sapendo che difficilmente avrebbe accettato - perch venisse a parlare ad una platea di giovani professionisti e studenti, per spiegare, per incuriosire, per stimolare.
Qualcosa di improcrastinabile non ce ne ha dato il tempo.
Ci restano le sue parole.
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Commento 10945 di paolo giordano
del 22/12/2011
relativo all'articolo La confusione delle forme nelle scuole di architet
di Sandro Lazier
Gentile Sandro Lazier,
la questione formale , da sempre, il grande tab delle nostre universit. O per lo meno lo era sicuramente ancora quando l'ho seguita io. Erano gli anni 90 quando si avvertivano i primi echi di uno sconosciuto Gehry che sarebbe poi 'esploso' mediaticamente col Guggenheim. Ma le forme 'libere' sono sempre state guardate con sospetto accademico. Perch la confezione poteva sovrastare e celare le carenze del contenuto. Ma anche perch, e non sono il pi titolato per dirlo, salvo poche eccezioni la docenza delle scuole di architettura raramente costituita da buoni professionisti in grado di confrontarsi con un panorama appena oltre Chiasso. Dunque paura, prima che gregario spirito retrivo. Alle volte le forme, essendo l'input principale che affascina nell'ideazione architettonica, non necessitano necessariamente di giustificazioni a posteriori. Son belle per s e in s. Penso a Nemeyer che sconfina nel gesto artistico ma realizza opere suggestive. Che vanno bene in determinati ambienti e non in tutti, d'accordo. Ma anche in questo frangente si rivela, come in tutte le cose dell'umana vita, la tirannia del buon senso. Quindi no a negazioni aprioristiche dell'importanza della forma, ma nemmeno abbandono dissoluto alla forma per elle mme. Non tutti siamo Niemeyer, ma nemmeno Mollino (tanto per ricordare un nostrano irregolare che proprio per la predilezione della sensualit della forma fu osteggiato in vita). Il buon senso e la modestia suggerirebbero quindi di lasciare che certi divertissement siano lasciati ai capaci mentre gli altri si rassegnino a fare della buona edilizia (che visto il desolante panorama, sarebbe gi qualcosa). Ma mi accorgo che gi guardo avanti nella professione, mentre qui il focus sulla funzione della scuola. E allora dico che concordo con lei nella necessit di lasciare briglia sciolta alla fantasia dello studente, purch vi sia il docente che guida la mano (o il mouse, veda lei) lontano da sclerotizzazioni solo estetiche e non funzionali. Vede, sar un po duro di comprendonio, ma non credo che dalla dicotomia forma-funzione si possa sfuggire. Il problema che non sempre chi dovrebbe sorvegliare conosce questa distinzione in modo da poterla insegnare. Ma parlare di forma adesso, quando non c la sostanza perch non c effettivamente lavoro per tutti, mi sembra quasi di dare al popolo affamato di pane delle brioches.