2 commenti di Vincenzo De Gennaro
19/1/2002 - Sandro Lazier risponde a Vincenzo De Gennaro
Caro Vincenzo,
sembra che siamo distanti. Ma forse non è così.
Relativamente alla distinzione arte architettura ti rispondo con parole di Zevi:
“Si ritiene generalmente che l’architettura non possa esternare stati d’animo quali l’amore, la paura, la tristezza, la nausea, l’entusiasmo e la disperazione. I testi mendelsohniani dimostrano, in modo prepotente, come essa parli, soffra, canti, aggredisca e persino ascolti, come non sia soltanto sfondo ai sentimenti umani, ma ne veicoli le pieghe più delicate e arcane.” Non è forse arte questa?
Relativamente alla parola “funzione” penso occorra chiarirne il significato. La funzione è un legame che tiene insieme più variabili delle quali una è indipendente. Il tempo, per esempio, è funzione della nostra vita ma non dipende da noi. Esso è oggettivo e oggettivabile. Il termine funzione, in architettura, ha un significato ben preciso e richiama la necessità di rendere dipendente questa da un valore assunto quale elemento incontestabile e necessario. Dire che l’architettura è funzione di qualcosa la rende prigioniera di un meccanismo univoco, spesso alibi del razionalismo più becero. Filosoficamente è indimostrabile che la forma dell’uovo dipende da quella del sedere della gallina o viceversa. Biologicamente è invece dimostrato che l’evoluzione avviene grazie ad errori che noi chiamiamo “disfunzioni”. Sappiamo solo che a qualsiasi forma possiamo affidare una funzione, perché oggettivabile è ciò che esiste, la forma, non la funzione.
Tutto questo non vuole dire che l’architettura debba essere fine a se stessa, perché parimenti la renderebbe oggettiva. Quindi è scontato che si progetti avendo in testa una funzione, ma questo è solo il punto di partenza, non di arrivo.
Per concludere, voglio dire che un edificio parla al di là del risultato della sua funzione. Questa è l’inutilità della poesia.
Commento
40
di Vincenzo De Gennaro
del 15/01/2002
relativo all'articolo
The Virtual Museum, secondo A. Bonito Oliva
di
Sandro Lazier
L'eccentricit del Guggenheim di Wright rispetto alle esigenze dell'arte ha determinato la sua stessa fortuna. Giustamente, come tu dici, l'architettura a pieno titolo una forma espressiva. Ma ha un requisito in pi. La funzionalit. Questa fa s che l'architettura si distingua dalle altre Arti. Non esiste una architettura "neutra", ma essa sempre al servizio di... E si dovrebbe comportare di conseguenza. Troppo spesso gli architetti la dimenticano a favore di un protagonismo impertinente che nel museo raggiunge l'apice. L'architetto solito avere l'uomo come unico referente, ma qui, nel museo, il ruolo di primo attore a due teste. Oltre l'uomo, la collezione d'arte. E la comunicazione di questa cultura assume, nella societ di oggi, un protagonismo che non ammette secondariet.
Personalmente ritengo che il colpo di A. Bonito Oliva vada accusato.
Ma per l'immeritevole commento, caro Sandro, perdonami.
Vincenzo
15/1/2002 - Sandro Lazier risponde a Vincenzo De Gennaro
Mi pare che rivendicare la funzionalit nellambito dellarte procuri qualche paradosso. Se la dote essenziale di ci che definiamo opera darte sta nella sua inutilit pratica e su questo penso A. Bonito Oliva concordi pienamente non vedo come questa qualit possa mostrarsi in un contenitore funzionale che ne contraddice la sostanza. Sullutilit o inutilit dellarchitettura, sulla funzionalit o irragionevolezza di questa ci sarebbe molto da dire e molto si detto. Una cosa certa: il rapporto forma-funzione ha rivelato una equazione inadeguata, mortificante e fondamentalmente priva di principio.
Nessuno, in realt, pu contestare il fatto che, data una qualsiasi forma, questa possa generare nuova funzione. Una funzione c comunque, sempre.
Unultima cosa. Non mi piace la distinzione tra uomo e opera darte, perch cela una condizione astratta che svuota di significato il presupposto contingente di tutta larte contemporanea.
P.S: il perdono facolt divina.
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Commento 43 di Vincenzo De Gennaro
del 19/01/2002
relativo all'articolo The Virtual Museum, secondo A. Bonito Oliva
di Sandro Lazier
In relazione al commento 42 di S.Lazier intendo precisare il mio pensiero:
1. rivendico la funzionalit nell’ambito dell’architettura e non dell’arte. Sono due cose molto molto diverse, deve essere chiarissimo, due ambiti distinti anche se accomunati dall’essere tra le forme espressive dell’estetica. Il confonderle oggi purtroppo costume largamente diffuso e denuncia un disorientamento imperante.
2. l’attributo di “inutilit pratica” dell’opera d’arte non vedo come debba caratterizzare l’architettura chiamata al suo ruolo spaziale. L’architettura non pu essere inutile. Praticamente non esiste, o rudere.
3. il rapporto forma-funzione l’equazione della “rinascita dell’architettura”. Altro che mortificante e priva di principio! Sin dal neolitico l’architettura prende vita per assolvere funzioni, ma lo avevamo dimenticato, e nel termine rinascita il riferimento a Sullivan, ma ancor prima a Morris dalla cui Casa, Zevi ha estratto la prima invariante. Tutto il pensiero zeviano delle sette invarianti infuso di questa equazione. E questo sta alla “nostra” architettura come il pensiero galileiano sta alla scienza moderna. questa consapevolezza che noi oggi auspico riuscire a far emergere.
4. contesto assolutamente il metodo che, presa a priori una qualsiasi forma vi si possa calare poi questa o quella funzione. un “appiccico” che si faceva ai tempi di Morris, si continuato a farlo dopo e purtroppo si continua spesso a farlo anche oggi. stato combattuto e si combatte ancora. una operazione accettabile in un solo caso: il recupero di organismi esistenti e di scarso valore storico-estetico. No per il restauro e assolutamente mai per l’architettura “nuova”. Se in una architettura – e ricordo che stiamo parlando di musei – concepita per una funzione , vi si pu indifferentemente collocarne una diversa altra, allora lo spazio fallito, non ha colto l’unicit di quell’arte che chiamato a far esprimere. L’architettura nasce per un disegno preciso, per assolvere funzioni ben determinate e non per capriccio delle forme di questo o quel progettista. Altrimenti fare Gibellina.
5. la distinzione uomo-opera d’arte non astratta ma ha significato museografico. il mondo dell’arte che da qualche decennio sta chiedendo all’architettura una sensibilit nuova che ancora stenta a percepire. Nel museo, vera cattedrale della nostra epoca, un progettista non pu pi operare come per una abitazione o una fabbrica dove il referente unico l’uomo che le vive. L’opera d’arte ha esigenze sue proprie che condizionano la fruizione estetica. Non si pu rimanere sordi a queste richieste. Lo spazio architettonico del museo il primo a dover essere rivoluzionato. Le ricerche in corso ritengo siano straordinariamente feconde, ma cercando il nuovo alfabeto occorre tutelarsi affinch non ci si smarrisca nei labirinti delle forme, sempre memori che l’obiettivo fare architettura che risponda alle nostre nuove funzioni.
Vincenzo De Gennaro