4 commenti di Ugo Rosa
Commento
802
di Ugo Rosa
del 12/10/2004
relativo all'articolo
Vati e gag
di
Ugo Rosa
Risposta a Leandro Janni
Carissimo Leandro, non che io attribuisca chiss quali poteri a Sgarbi (a parte quello, non trascurabile, di far ridere). Il punto non il potere "personale" di questa o di quella marionetta. Nessuna marionetta ha altro potere che quello, appunto, che gli deriva dal possedere un sembiante ridicolo. Tutto invece risiede nello spettacolo. Il potere oramai una pura e semplice idea, nessuno (neppure qui a Berlusconia...) ne gestisce pi di tanto in modo diretto e personale. E' proprio questo che rende l'epoca inquietante. Nessun imbecille ha, in fondo, altro potere che quello di gestire la propria imbecillit e di proiettarla intorno (a minore o maggiore distanza naturalmente e perci c' differenza tra lo stupido che s'allarga al bigliardo e quello che lo fa in tv..) ma questi cerchi s'intersecano e s'intersecano...alla fine tutto lo stagno ne invaso.
Il potere , oggi, qualcosa del genere: intersecazione di piccole onde di imbecilit, di furbizia e di cinismo che si trasmettono l'un l'altra il loro movimento. Ma quel movimento, infine, sembra acquistare una fisionomia unitaria e per niente rapsodica...
p.s.
...e tuttavia, caro Leandro, Piazza Armerina qui a due passi ed io non sottovaluterei affatto i risultati che pu ottenere un piccolo ridicolo potere applicato con una lente ustoria...prendila come vuoi ma io (a proposito di cose ridicole) non compero pi zucchero Eridania: poco ma meglio che niente.
Commento
781
di Ugo Rosa
del 21/09/2004
relativo all'articolo
Don Camillo e l'architettura moderna
di
Ugo Rosa
Risposta al commento n. 780
Lei, gentile signor Buora, mi simpatico per tre motivi che prover a descriverle.
Mi simpatico, in primo luogo, perch, dall'isola che non c', mi fa sapere che avrei dovuto rispondere a Langone non su Antithesi, bens direttamente sul Foglio.
Magari, che dice, con un bel paginone a sei colonne, giusto per pareggiare il conto e lavorare ad armi pari?
Bastava chiederlo a quel sant'uomo di Giuliano Ferrara:
"Egregio signor Ferrara, mi favorirebbe un bel paginone sul Foglio ch avrei da sfotticchiare un po' l'amico suo Langone?
Certo si accomodi, vuole l'edizione del sabato oppure quella del marted?
Facciamo cos, mettiamolo gi a puntate e lo alleghiamo come gadget insieme ai pensieri di babbo natale e alla pipa di braccio di ferro".
Mi rendo conto che, nel paese dei campanelli, le cose funzionano effettivamente cos. In questo, purtroppo, no.
Perci (mi auguro che Sandro e Paolo non se la prendano e non si sentano, da questo, sminuiti) ho dovuto accontentarmi di Antithesi.
Lei mi simpatico, inoltre, per via della sua efficienza nel trattare le virgolette. Possiede il segreto del virgolettato esaustivo: ha stabilito che le tredici
parole da lei selezionate sono "il nucleo del mio articolo" e non c' verso di farle cambiare idea. Con lievi modifiche al suo metodo astringente potrei, se d'accordo, mettere su una distilleria letteraria ed estrarre il sugo, mettiamo, della Divina Commedia, in ventiquattro parole: "Scrittore di mezza et incontra anziano poeta ormai defunto che lo accompagna in curioso itinerario ultraterreno: episodi divertenti e situazioni insolite. Finale a sorpresa."
Non credo che Dante potrebbe lamentarsi del trattamento: abbiamo infatti isolato il nucleo.
Lei mi simpatico, in ultimo, perch mi ribadisce che se io non sono cattolico non c' problema. Grazie di cuore per la sua bont d'animo.
Detto questo, per, pare che le chiese siano affar suo e che io farei meglio a togliermi dalle scatole. Ecco una concezione della convivenza civile che mi sfugge. Davanti a casa mia c' una chiesa, mio figlio esce a giocare in uno spazio urbano che configurato dalla chiesa, eppure se mio figlio non cattolico deve, semplicemente, tacere, togliersi di mezzo e lasciare decidere al cattolico come deve essere la chiesa che configurer poi gli spazi di tutti noi che viviamo in citt: cattolici, islamici, atei, buddisti e ind. Con la medesima, ineffabile, logica, gli insegnanti di religione cattolica vengono stipendiati dallo stato e dunque anche da me che cattolico non sono.
Bene: l'Italia non sar il paese dei campanelli ma ci si avvicina moltissimo. E vede, caro e gentile signor Buora, io, per la verit, avevo parlato di "sinistri cigolii" e non di "sinistri scricchiolii" ma devo ammettere ancora una volta che lei un virtuoso della virgoletta: ha perfettamente ragione, adesso i cigolii sono diventati scricchiolii e temo che se continuasse a scrivere si trasformerebbero in qualcosa di ancora peggio. Perci mi faccio definitivamente da parte: non vorrei trovarmi in mezzo alle rovine. Mi permetta per di citarle un autore che, date le sue frequentazioni teologiche, lei dovrebbe conoscere a menadito, Angelus Silesius (Il pellegrino cherubico, I, 267):
"Amico, se sempre una sola cosa dobbiam cantare insieme,
Che canzone e che coro saranno mai questi?"
Adieu
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336
di ugo rosa
del 05/12/2003
relativo all'articolo
Coppe e medaglie: a Cesare quel che di Cesare
di
Ugo Rosa
Ugo Rosa non ha compreso la questione.
Qual la questione?
La questione, dice, che Brizzi in realt "non andava considerato un critico in prima istanza", mentre Pierluigi Nicolin s.
Perch?
Ma perch "nel bene e nel male, ha scritto articoli, editoriali etc etc".
Non solo. Li ha scritti su Lotus, rivista internazionalissima che, pure, dirige. La cosa ha la sua importanza.
Se uno scrive su Lotus e, per di pi, la dirige, allora, un critico in prima istanza.
E perch uno che scrive su Lotus e la dirige un critico in prima istanza e uno che scrive su Arch'it e la dirige non un critico in prima istanza?
Perch, dice, Lotus "ha una linea editoriale riconoscibile".
Ugo Rosa continua a non comprendere la questione.
Linea editoriale riconoscibile.
Cos'?
E, forse, quando un critico in prima istanza partorisce linee lunghe lunghe e dritte dritte, tutte belle cromate e parallele, che poi arriva il lettore e ci scivola come un trenino sopra i binari?
E quando, sulla base di queste oliate longarine, si stabilisce chi fare montare sul trenino e chi invece fare andare a piedi?
E quando si decideva di far fuori intere generazioni di architetti italiani perch, da pubblicare, cerano meraviglie che, per chi non ha le belle fette di salame sugli occhietti, veniva lo schifo a guardarle?
Insomma, siccome cerano le belle linee editoriali, sul trenino montavano solo quelli che il noto critico in prima istanza gradiva. Gli altri andavano a piedi, perch bisognava che si allenassero per il futuro (altre longarine, altre linee editoriali riconoscibili).
Quando, per ipotesi, i giovani (di allora) architetti, accuratamente selezionati in base a scuole di appartenenza (longarine accademiche, linee editoriali didattiche) venivano accettati sul trenino dovevano viaggiare sul predellino, e per tratti non maggiori della distanza che intercorre tra il rientro delle colonne a stampa e il bordo pagina. Chi ha letto (oltre alla Lotus di Nicolin) la Casabella di Gregotti sa delle bellissime figurine di quattro centimetri per due di cui beneficiavano, di tanto in tanto, questi miracolati dellarchitettura. Perch, si capisce, occorreva fornire tutto lo spazio necessario ai bei sederoni di quelli che facevano parte del giro, quelli che aderivano alla linea editoriale con tutto il plantare. Non parlo solo di progetti, parlo anche di scrittura critica. Quella scrittura critica italiana di cui il critico in prima istanza era ed maestro raro (si provi a fare lanalisi logica e grammaticale di uno di questi bellissimi editoriali e articoli a linea editoriale garantita, si scelga pure a caso, e buon divertimento).
Ma Ugo Rosa continua a non comprendere la questione.
E qual la questione?
La questione, dice, che il critico vero (quello in prima istanza) scrive tantissimo e la quantit, santiddio, vorr pur dire qualcosa. E dai oggi, e dai domani, alla fine la ciambellina deve venire fuori col suo bel buco al centro. Come diceva Russell: metti una scimmia davanti alla lavagna, dagli un gessetto, tempo illimitato e prima o poi finir per scrivere il suo nome. O, meglio, il nome che tu hai deciso che porti.
Ma Ugo Rosa si muove adesso in un groviglio inestricabile di incomprensione.
Perch, oltre a scriverci, capita che ogni tanto legga, anche, Archit.
E ha scoperto, quel testone, che ci si scrivono cose assai diverse luna dallaltra e ci si pubblicano progetti assai diversi luno dallaltro, che il livello di quei progetti e di quegli scritti non per niente pi basso di quello che si legge e si vede sulle riviste a linea editoriale doc che troviamo in edicola (anzi, talvolta notevolmente pi alto). Anche se scritti e progetti spesso non sono dotati del pedigree ufficiale fornito dalla cultura accademica.
E il fatto che manchino quelle belle longarine oliate che portano dritto al punto in cui il capomanipolo (critico in prima istanza) ha deciso che portino, non gli sembra un difetto.
Anzi, pensate un po, gli sembra persino un pregio.
E gli sembra anche (ma questo perch proprio non un tipo svelto) un tantino accademico, presuntuoso e arrogante decidere dufficio in che modo vada esercitata la critica darchitettura. E stabilire a priori che fare una rivista (offrendo spazio a persone che nelle riviste doc non ne hanno) non costituisca un forma pienamente legittima, anche se non canonizzata, di critica darchitettura. Gli sembra che questa arroganza non sia diversa da quella di chi sentenziava che siccome gli oggetti di Calder non stavano fermi, allora non erano da considerarsi sculture. Perch il minimo da richiedersi a una scultura che stia ferma.
Ma la logica non deve fare una grinza.
La medaglia per la Critica in prima istanza (quella con la c maiuscola)?
Lattivit che svolge Brizzi non rientra tra quelle canoniche che definiamo Critica darchitettura, non Critica in
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Commento 9152 di Ugo Rosa
del 10/12/2010
relativo all'articolo Hopeless Monster (Night at the museum)
di Ugo Rosa
Ugo Rosa risponde a S. D'Agostino
Funzionare, v. intr. (funziono ecc.; aus. Avere)
1. Essere in grado o nell’atto di corrispondere alle esigenze specifiche determinanti della propria struttura od organizzazione: la macchina ha cessato di f. ; l’ufficio non funziona più come prima | Rendere in modo soddisfacente: occorre sempre un po’ di tempo perché un nuovo metodo cominci a f.
2. Esercitare una funzione, fungere: f. da segretario | Celebrare (in ambito liturgico): oggi funziona il vescovo.
Così il Devoto-Oli.
Quanto all’etimologia ci si attesta comunemente su quella che fa derivare la parola da functus, participio passato di fungi (fungor, eris, functus sum fungi): conduco a termine; adempio, eseguo, compio, sopporto.
Funziona, dunque, ciò che risponde al compito per cui è stato messo in atto e vi risponde nel modo più adeguato.
[Torna su]Una penna deve scrivere. Ma non basta ancora che scriva perché “funzioni”. E’ necessario, per esempio, che la sua scrittura non richieda, per essere messa in atto, l’uso di sangue umano, di oro liquido o di inchiostri a base di uranio impoverito, che non pesi sei chili e che abbia dimensioni inferiori a quelle di un missile terra-aria.
Quando chiunque disponga delle mani e sia in grado di usarle potrà scrivere a costi economici e in maniera agevole, potremo dire di avere una penna che, effettivamente, funziona.
Poi, naturalmente, avremo penne più o meno belle e, anche, più o meno costose, ma affinché la penna continui a “funzionare” dovremo rimanere sempre dentro un paradigma che sappia declinare bellezza, costo e capacità di servire in termini tra loro adeguati.
Se una penna costa un miliardo sarà, forse, una curiosità da baraccone, ma perde una delle caratteristiche che ne fanno uno strumento di scrittura utilizzabile.
Per gli edifici le cose non stanno diversamente.
Un edificio funziona quando risponde al compito per cui è stato costruito e vi risponde nel modo più adeguato e a costi complessivi (di costruzione e di gestione) sensati.
Ciò che non funziona soltanto ma “ha da funzionare” (un artefatto, cioè, qualcosa che non funziona “solo per caso”) viene infatti progettato e costruito “in funzione”.
Un ospedale è pensato e costruito “in funzione” dei malati che dovrà ospitare, un’abitazione “in funzione” degli abitatori ecc; una sala espositiva deve esserlo “in funzione” delle opere che vi saranno esposte o, più precisamente, “in funzione” del migliore dei rapporti possibili tra l’opera e chi la contempla.
Noto, per inciso, che un museo nato per esporre l’arte del XX secolo risponde ad un’esigenza che proprio l’arte del secolo scorso ha avanzato per la prima volta: quella di un luogo fruibile a piacimento (spesso a pagamento) e votato ad ospitarla e a metterla “in mostra”.
Prima della nascita dell’arte moderna questa esigenza non esisteva.
Né Giotto, né Raffaello, né Leonardo hanno dipinto per far mostre pubbliche e sarebbe divertente immaginare la reazione di Andrej Rublev se gli avessero predetto che l’icona della Trinità, un giorno, sarebbe diventata un poster per pubblicizzare il panettone, Picasso, Modigliani, Van Gogh e Matisse, invece, puntavano, fin dalla prima pennellata, alla galleria d’arte e all’esposizione e quello auspicavano.
Ma ciò non è importante se non per sottolineare che, se qualche opera mai si dovesse trovare a sua agio in un museo (cosa della quale ho sempre dubitato e continuo a dubitare) quella sarebbe proprio un’opera di arte moderna, l’altra infatti ci sta, per definizione, malgré elle.
Parlare dunque di un “museo d’arte moderna” non è dunque trattare di un raro caso specialistico bisognoso di raffinatissime alchimie tecnico-mentali ma è quasi una tautologia giacché è proprio questo il solo caso in cui il museo ospita opere che sono nate esattamente per esservi ospitate.
Definizioni come sala espositiva, museo ecc. racchiudono, com’è noto, un significato che, in qualche modo, si pone a metà strada tra quello della parola “obitorio” e quello della parola “bordello”: vi si reca a pagamento per provare piacere e vi si trovano