Commento
716
di Antonio Girardi del 12/04/2004
relativo all'articolo
La Fenice, com'era e dov'era di
Luigi Prestinenza Puglisi
La riapertura della Fenice segna un importante centro per larchitettura moderna. Linteresse dei media e del pubblico verso linaugurazione del Teatro veneziano permette di puntare i riflettori una volta tanto su quello che un atto di cultura civile e di grande architettura moderna.
Perch di questo si tratta, grande architettura contemporanea, ossia rispondente alle esigenze della nostra societ. Permette una moderna fruizione del teatro: la torre scenica stata riprogettata per essere compatibile con le necessit scenografiche dei nuovi allestimenti, lintero teatro per essere compatibile con il lavoro degli addetti e la fruizione da parte del pubblico di spettacoli complessi che si tengono nei teatri pi moderni e avanguardistici. Il tutto, si capisce, compatibilmente con il sito, la facciata, e gli altri pochi resti dellAntico che erano, siamo tutti daccordo, da salvare. Lequivoco in cui cade a mio avviso chi denuncia la politica della ricostruzione dovera e comera in nome di una ennesima occasione mancata per larchitettura moderna, sta nel credere che per affrontare il nuovo si debba necessariamente ricorrere a forme nuove, a tecniche allavanguardia, a materiali nuovi o presunti tali. Avrebbe forse lutilizzo di un lessico contemporaneo reso il teatro pi rispondente alle necessit della moderna fruizione, rendendo lutensile pi a punto? Questa la domanda decisiva. Naturalmente sono da annoverare tra le moderne esigenze anche la necessit che il teatro sia una valida rappresentazione della nostra attuale societ. Ma che il moderno lessico architettonico internazionale e cosmopolita sia in grado di esprimere chi siamo da dove veniamo e dove andiamo meglio di quanto possa farlo la nostra storia e la nostra tradizione in una parola la nostra identit- tutto da dimostrare.
Si veda a che risultati ha portato nellentroterra veneziano la perdita totale di ogni segno morfologico del passato, lo stupido adeguamento a unidea extraeuropea di citt. Nello sfascio socio-culturale delledilizia veneta ci che inquieta non tanto il ricorso a segni e lessici antichi, lingenuo utilizzo di colonnine doriche, di finestrelle tonde, di archetti, frontoni, timpani, di modanature in calcestruzzo. Ci che realmente sconcertante il fiorire ovunque di capannoni commerciali, di ville villine villette, la totale distruzione del territorio, il completo svuotamento di senso dei centri storici ridotti ormai a lussuosi shopping centre. Il problema non la decorazione classicista, ma limpossibilit-incapacit da parte degli strumenti urbanistici di immaginare una morfologia abitativa, di progettare una citt che sia forma rispondente alla moderna societ. Non riesco a immaginare come lutilizzo di tetti piani, grandi vetrate o qualsivoglia icone dellarchitettura moderna potrebbe risolvere questo problema politico, e anzi leggo nello sgraziato ricorso a un lessico classico, uno stonato urlo contro la citt cosmopolita-universale propinataci dalle riviste darchitettura, un impacciato tentativo di ritorno a una vita civile.
E cosa c di meglio del Teatro della capitale storica del nostro territorio per richiamarci tutti allordine, per imporci di pensare che il ritorno a una vita civile pi partecipe e pi coinvolta sia ancora possibile? Perch questo il senso della sublime progettazione di Aldo Rossi, straordinario maestro che come vero architetto civile rinuncia a lasciare la firma in questa sua ultima opera, affidandosi nella sala prove lunico spazio creato ex-novo e quindi libero a qualsiasi sperimentazione linguistica- alla espressivit della pi rappresentativa architettura del nostro passato, la facciata della Basilica Palladiana di Vicenza, qui riproposta in un plastico in legno in scala 1:3. Cos in un panorama architettonico e artistico in cui gli autori sono nella stragrande maggioranza relegati o autorelegatesi a sperimentatori di innovative espressivit spaziali e di soluzioni formali che nascono gi vecchie e alle quali le riviste fingono di interessarsi, la costruzione della Fenice ci insegna che per lartista ancora possibile e auspicabile uno spazio per progettare un futuro migliore.
Commento 716 di Antonio Girardi
del 12/04/2004
relativo all'articolo La Fenice, com'era e dov'era
di Luigi Prestinenza Puglisi
La riapertura della Fenice segna un importante centro per larchitettura moderna. Linteresse dei media e del pubblico verso linaugurazione del Teatro veneziano permette di puntare i riflettori una volta tanto su quello che un atto di cultura civile e di grande architettura moderna.
Perch di questo si tratta, grande architettura contemporanea, ossia rispondente alle esigenze della nostra societ. Permette una moderna fruizione del teatro: la torre scenica stata riprogettata per essere compatibile con le necessit scenografiche dei nuovi allestimenti, lintero teatro per essere compatibile con il lavoro degli addetti e la fruizione da parte del pubblico di spettacoli complessi che si tengono nei teatri pi moderni e avanguardistici. Il tutto, si capisce, compatibilmente con il sito, la facciata, e gli altri pochi resti dellAntico che erano, siamo tutti daccordo, da salvare. Lequivoco in cui cade a mio avviso chi denuncia la politica della ricostruzione dovera e comera in nome di una ennesima occasione mancata per larchitettura moderna, sta nel credere che per affrontare il nuovo si debba necessariamente ricorrere a forme nuove, a tecniche allavanguardia, a materiali nuovi o presunti tali. Avrebbe forse lutilizzo di un lessico contemporaneo reso il teatro pi rispondente alle necessit della moderna fruizione, rendendo lutensile pi a punto? Questa la domanda decisiva. Naturalmente sono da annoverare tra le moderne esigenze anche la necessit che il teatro sia una valida rappresentazione della nostra attuale societ. Ma che il moderno lessico architettonico internazionale e cosmopolita sia in grado di esprimere chi siamo da dove veniamo e dove andiamo meglio di quanto possa farlo la nostra storia e la nostra tradizione in una parola la nostra identit- tutto da dimostrare.
Si veda a che risultati ha portato nellentroterra veneziano la perdita totale di ogni segno morfologico del passato, lo stupido adeguamento a unidea extraeuropea di citt. Nello sfascio socio-culturale delledilizia veneta ci che inquieta non tanto il ricorso a segni e lessici antichi, lingenuo utilizzo di colonnine doriche, di finestrelle tonde, di archetti, frontoni, timpani, di modanature in calcestruzzo. Ci che realmente sconcertante il fiorire ovunque di capannoni commerciali, di ville villine villette, la totale distruzione del territorio, il completo svuotamento di senso dei centri storici ridotti ormai a lussuosi shopping centre. Il problema non la decorazione classicista, ma limpossibilit-incapacit da parte degli strumenti urbanistici di immaginare una morfologia abitativa, di progettare una citt che sia forma rispondente alla moderna societ. Non riesco a immaginare come lutilizzo di tetti piani, grandi vetrate o qualsivoglia icone dellarchitettura moderna potrebbe risolvere questo problema politico, e anzi leggo nello sgraziato ricorso a un lessico classico, uno stonato urlo contro la citt cosmopolita-universale propinataci dalle riviste darchitettura, un impacciato tentativo di ritorno a una vita civile.
E cosa c di meglio del Teatro della capitale storica del nostro territorio per richiamarci tutti allordine, per imporci di pensare che il ritorno a una vita civile pi partecipe e pi coinvolta sia ancora possibile? Perch questo il senso della sublime progettazione di Aldo Rossi, straordinario maestro che come vero architetto civile rinuncia a lasciare la firma in questa sua ultima opera, affidandosi nella sala prove lunico spazio creato ex-novo e quindi libero a qualsiasi sperimentazione linguistica- alla espressivit della pi rappresentativa architettura del nostro passato, la facciata della Basilica Palladiana di Vicenza, qui riproposta in un plastico in legno in scala 1:3. Cos in un panorama architettonico e artistico in cui gli autori sono nella stragrande maggioranza relegati o autorelegatesi a sperimentatori di innovative espressivit spaziali e di soluzioni formali che nascono gi vecchie e alle quali le riviste fingono di interessarsi, la costruzione della Fenice ci insegna che per lartista ancora possibile e auspicabile uno spazio per progettare un futuro migliore.