Il Memoriale dell'Olocausto di Berlino, progettato da Peter Eisenman,
l'ultimo in ordine di tempo, ma certo non sar l'ultimo quanto a realizzazione
(presto prender il via un nuovo Museo dell'Olocausto a Ferrara) eretto
a celebrare l'olocausto per antonomasia, quello del popolo ebraico. Fra tutte
le etnie oggetto di massacri e repressioni sanguinarie nella storia
recente, dai ceceni sterminati o deportati da Stalin, ai rom eliminati da Hitler,
ai serbo-croati vittime di un'insensata guerra fratricida, alle vittime del
genocidio armeno di inizio secolo, o di quello curdo dei pi recenti
anni '70, gli ebrei sono sicuramente quelli che di pi o in vece o in
nome degli altri si sono fatti carico di conservare viva la memoria dell'olocausto
del loro popolo.
Attraverso varie iniziative come la costruzione di musei dell'olocausto, monumenti
all'olocausto, memoriali dell'olocausto, l'istituzione di giornate mondiali
dell'olocausto ecc., il popolo ebraico continua ad inviare al mondo un
messaggio ecumenico che riguarda indifferentemente l'umanit intera,
anche se ci non cancella del tutto l'impressione che l'olocausto venga
in realt trattato un po' come una faccenda privata, di famiglia, con
la celata convinzione che solo un ebreo possa capire la nefandezza di quanto
accaduto al popolo ebraico, avendolo vissuto sulla propria pelle, o su quella
del proprio padre o del proprio nonno: tant' che, ad ogni buon conto,
quando si tratta di costruire mausolei, l'incarico viene affidato volentieri
ad architetti ebrei o di origine ebraica, Daniel Libeskind e Peter Eisenman,
tanto per fare due nomi.
La finalit una sola: non dimenticare. Ma le tragedie umane
si associano ad un sentimento squisitamente umano, sconosciuto agli altri esseri
viventi ed invece pervicacemente coltivato dall'uomo: l'odio. Gli altri animali
uccidono per necessit, l'animale uomo, unico sulla faccia della terra,
uccide anche senza che ce ne sia il bisogno, n il motivo, n
la ragione, uccide perch odia. L'odio l'origine e la causa
da cui scaturisce la tragedia, e rimane come residuo nocivo, dopo che si
consumata, nell'animo degli spettatori, dei superstiti e dei parenti delle vittime,
cosicch rinfrescare il ricordo di una tragedia vuol dire anche dare
nuova linfa all'odio. Il risultato uno solo: non dimenticare l'odio.
Si tratta di un rapporto di causa-effetto, frutto di un'associazione di idee
elementare ed automatica, immancabilmente confermato anche quando il discorso
viene condotto entro i limiti di una dignitosa compostezza, in assenza di ogni
sentimento di rivendicazione e di vendetta.
La scelta di Eisenman antimonumentalistica, minimalista, senza concessioni celebrative,
non si preoccupa di piacere, non cerca consenso, egli stesso dichiara "Non
voglio che i visitatori si commuovano per poi andar via con la coscienza pulita",
puntando sull'originalit di una soluzione architettonica che di architettonico
non ha molto: Peter Eisenman forse oggi l'unico a fare vera architettura concettuale,
legata non alla forma ma al concetto della forma, con connotazioni linguistiche
talmente anomale da renderla assolutamente inclassificabile.
Il Memoriale di Berlino architettura? scultura? installazione? Non c' niente
di criticabile in questa indefinitezza, o plurisignificanza, del resto Eisenman
come architetto un bravo scultore, mentre come scultore un bravo architetto.
Che importanza ha stabilire cos' ci che ha realizzato, ci che ognuno vuole
che sia, in quel tempo ed in quel luogo. Il discorso presenta interessanti correlazioni,
facilmente rintracciabili se si osservano in parallelo arte e architettura contemporanee,
con il pensiero di Christian Boltanski, francese di padre ebreo, artista del filone
concettuale tra i pi importanti nel panorama contemporaneo: straordinario poeta
della memoria, Boltanski mette in scena il passato ed il tempo che scorre in disordinati
cumuli di indumenti simili ad ipotetici resti di una reale Sho, affinch vengano
toccati, manipolati, restituiti a nuova vita, costruisce suggestive installazioni
con macrofotografie di persone anonime e ordinarie, dedicando loro un atipico
mausoleo, mette a disposizione delle nuove generazioni un archivio sui generis
di memorie e ricordi, raccontando il passato a modo suo, il modo di un uomo che
con commovente essenzialit enumera i membri della sua famiglia in un'ordinata
serie di steli riportanti semplicemente la data di nascita e di morte, fredda
parentesi cronologica che, con pudore estremo dei sentimenti, racchiude in pochi
numeri il ciclo vitale di persone amate, un uomo che riesce a toccare il nostro
animo con la semplice presentazione di uno sterminato campione di umanit catalogato
per ordine alfabetico in 2.639 elenchi telefonici che riportano Les abonns
du tlphone di tutto il mondo.
E' immediato il richiamo ai 2.700 parallelepipedi di calcestruzzo del memoriale
di Eisenman, una selva di steli monolitiche che paiono altrettante opere di
art brut, identiche per materiale, colore, dimensioni ed orientamento spaziale,
indifferenziate se non per un diverso aggetto dalla quota del terreno, con effetto
onda. In entrambi i casi, i due autori delegano all'osservatore il compito di
guardare e lo sforzo di comprendere attraverso una riflessione attiva, non gi
attraverso la memoria passiva di un evento non vissuto in prima persona e neppure
raccontato secondo i comuni canoni della narrazione.
Tuttavia, seppure nella variet di linguaggi anche molto distanti, le memorie
di una tragedia vista attraverso gli occhi delle vittime finiscono per assomigliarsi
un po' tutte, come induce a pensare il confronto che ho appena riportato, quello
che mi sembrerebbe assai pi interessante invece una visione delle stesse
memorie passata attraverso gli occhi dei carnefici.
E' ci che fa Anselm Kiefer, allievo di Joseph Beuys, pittore, scultore e architetto
sicuramente grande anche senza una laurea ufficiale, tedesco nato nel cuore
della Selva Nera che, a partire dagli anni '80, focalizza la sua ricerca tematica
e formale sullo sterminio degli ebrei, con il coraggio di indagare il tab rappresentato,
per la Germania di oggi, da un passato ingombrante attorno al quale pare inutile
ogni tentativo di rimozione..
Da sempre interessato a comporre in una dimensione dialettica cultura greca
ed epica wagneriana, storia recente e eroici miti arcaici, "elementi accettati
e costitutivi della tradizione culturale tedesca con le loro inaccettabili conseguenze
storiche" (Alessandro Tempi), Kiefer opera costantemente in bilico tra greve
matericit ed aspirazione mistica, ultimamente ricorrendo ad una tipologia scultorea,
ma soprattutto architettonica, la torre, di alto significato spirituale, in
simbolica salita verso una realt metafisica .
Ferro,
piombo, materiale di forte valenza alchemica, e grandi blocchi di cemento prefabbricati,
talvolta dimensionalmente modulati sul container che li trasporta, sono gli
elementi usati per comporre installazioni architettoniche mastodontiche, inamovibili
strutture site specific pesantemente attaccate alla terra, le stesse che il
Memoriale di Eisenman pare reiterare amplificandole con ossessiva ripetitivit.
Ma se sul Memoriale aleggia il senso cupo di una tragedia, quella del popolo
ebraico, ineluttabilmente compiuta e consegnata alla storia, nell'opera di Kiefer
quella tragedia si identifica nella dolorosa sconfitta morale di un popolo,
quello tedesco, che ancora oggi lotta con i suoi fantasmi peggiori: cos l'opera
di Kiefer, tedesco della Selva Nera, diventa il pi commovente memoriale che
sia mai stato dedicato all'olocausto degli ebrei, senza nessuna committenza
specifica, senza nessun legame etnico, senza scelte partigiane o nazionalistiche,
un memoriale della piet, del pentimento e del perdono. Per dimenticare l'odio.
Differenti chiavi di lettura dello stesso dramma che fanno riflettere su come
l'originalit di un progetto stia essenzialmente nell'originalit del punto
di vista, nella capacit di guardare con occhi nuovi le tragedie di sempre.
E questo Eisenman non riuscito a farlo.
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