Negli articoli precedenti ho sostenuto che il senso della
storia sta nella trama che intesse i fatti e nel nesso che li d
a intendere. Lo stesso senso rintracciabile in ci che
definiamo comunemente destino.
Quando leggiamo un libro di storia - e conosciamo a priori i fatti essenziali
- cerchiamo nel racconto il preciso motivo per cui le cose sono andate
in certo modo e non in altro, come se queste fossero predestinate o guidate
da una ragione superiore. Tutte le azioni descritte, infatti, sembrano
seguire una traccia che mira ad un fine noto, quando il fine
noto.
L'idea di destino sembra essere il solo strumento capace di dare significato
alla casualit degli eventi e di organizzare gli accadimenti in
relazione al loro epilogo. Ma tutto questo, in sostanza, anche
la base di ci che in letteratura chiamiamo racconto, espresso
in forma di romanzo (e la Storia non ne esclusa).
Il romanzo la forma letteraria che ha avuto il suo culmine nel
milleottocento e, nel bene e nel male, si trascinata fino ai
nostri giorni. La sua struttura relativamente semplice: una genesi
ben definita nel tempo e nello spazio, una trama fitta e intrigante, un
epilogo tragico o fortunato. L'idea di predestinazione sempre
presente e tutto l'intreccio appare compatto, coerente e rigorosamente
costruito. Praticamente l'esatto contrario della moderna e meno nobile
"telenovela" dove non sono gli eventi a seguire una trama ma
l'opposto,e dove, soprattutto, non c' predestinazione perch
nemmeno l'autore sa dove si andr a finire.
Stringendo il concetto, il romanzo pi breve senz'altro
questo: nacque, visse, mor.
Descrive la vicenda di tutti gli uomini i quali di questo destino, a differenza
degli altri esseri viventi, hanno consapevolezza. Il fine noto,
tragicamente noto: la scomparsa. Un finale talmente forte che tutto ci
che accade durante la vita pare scritto in funzione di drammatica conclusione
(tragedia) o di cinica beffa (commedia). Tutta la vita, e l'arte che ne
esprime i segni, in sintesi, sono questo. Sembra molto poco,
vero, ma questo abbiamo.
Nel 1998 sono andato a vedere la mostra di un giovane pittore
precocemente scomparso. Le tele pi recenti, a differenza delle
pi lontane che erano dipinte con coerenza e che mostravano maniera
nella tecnica e nella figura, stavano abbandonando ogni riferimento fedele
al realismo della rappresentazione. Le figure non stavano pi in
relazione con loro e con il tutto. Non c'era pi n scala
n prospettiva, gli oggetti vicini erano senza proporzione rispetto
a quelli pi lontani, come se il tempo e la percorrenza fra gli
stessi fosse annullata dal loro essere tutti contemporaneamente presenti
e la loro dimensione fosse determinata soltanto dalla forza con la quale
questi dichiaravano di voler esistere. La tecnica svaniva in pochi segni
colorati quasi infantili, addirittura caricaturali, volutamente sporchi.
Lungo il percorso museale era esposta una lettera dell'autore. Mi colp
molto un paragrafo nel quale, con fredda osservazione, egli spiegava la
sua volont di lasciare tracce dappertutto con la necessit
di segnare una presenza che la prematura morte avrebbe presto cancellato.
Un destino certo, imminente, lo costringeva a marcare ogni cosa che potesse
testimoniare il suo passaggio. Non la tecnica, non la retorica del sapere
o dell'utilit o della ragione. Solo un segno, tanto inutile in
pratica quanto indispensabile alla coscienza. Un segno liberato di ogni
incrostazione ideologica e intellettuale, essenziale e non finito, paradossalmente
sporco perch ripulito nel setaccio di un destino imminente.
A ognuno di noi tocca la stessa sorte, anche se qualcuno, pi fortunato,
riesce a vivere pi a lungo. Conosciamo la presenza di chi ci ha
preceduto perch ne troviamo le tracce, anche se pochi queste tracce
hanno lasciato con la coscienza del nostro amico pittore scomparso. Solitamente
siamo cos presi dai traguardi (che la vita ci pone come necessari)
che il tempo che impieghiamo per raggiungerli lo consideriamo come una
pausa senza particolare significato. Importante raggiungere la
meta; importante risolvere problemi, importante passare
da un piano all'altro nel pi breve tempo possibile. Corriamo da
una stanza all'altra attraversando banali corridoi dritti e predestinati
perch lo scopo di chi in camera da letto raggiungere
il soggiorno senza perdere tempo nel tragitto. Troppo spesso dimentichiamo
che l'ultima stanza che dobbiamo raggiungere tragicamente vuota
e, per questo, il percorso che facciamo non deve e non pu essere
ridotto alla banale condizione di una pausa. Perch tutta
la nostra vita. La nostra vita transito da un piano all'altro,
stare in corridoio, lasciando impronte e segni che raccontino
con nobilt e bellezza l'esperienza di esser vissuti.
Tornando alla storia, che nel suo delirio finalistico e
utilitaristico di spiegare gli eventi come serie di successi o sconfitte,
raramente ci racconta di scale e corridoi. Soprattutto, riprendendo il
senso che cogliamo leggendone il racconto, ci costringe ad ignorare pause
e silenzi poco convenienti all'aspirazione dello scrittore di romanzi
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