Con l'articolo Architettura Digitale ho proposto la ridefinizione del significato di storia. Me ne assumo la responsabilit e provo a buttarmici dentro, forse un po' incoscientemente.
Ho parlato di critica intendendola in generale come narrazione strutturata
di sentenze, ovvero come sistema di concetti finalizzati al giudizio,
sia esso estetico, etico, politico, sociale, piuttosto che psicologico,
ecc
Perch la critica? Perch il semplice fatto di stare al
mondo e averne coscienza ci obbliga a darne una descrizione e un possibile
significato. La nostra critica, che giudizio sul criterio dei
nostri simili, non altro che la misura con cui ci sentiamo soddisfatti
della descrizione e del significato che questi, con il loro fare e dire,
ci danno dell'umana condizione che chiamiamo realt.
Realt e Verit sono concetti che simpatizzano per cui spesso
siamo indotti a ritenere vero tutto ci che reale. Ma
non sempre cos. Se la realt ci
che percepiamo con i sensi, quindi ci che i sensi ci
raccontano, dobbiamo fidarci del loro racconto, ma soprattutto dobbiamo
escludere dalla categoria del vero tutto ci che non ci viene raccontato.
Tutti i nostri giudizi, che per principio di onest riteniamo veri,
devono quindi riferirsi e misurarsi con il racconto dei fatti cos
come ne veniamo a conoscenza. Ma il racconto di fatti cronaca
e, aggiungendovi il nesso con cui cerchiamo di tenerli insieme, diventa
storia. La nostra critica non pu, quindi, esistere senza
il sostegno e il confronto con la storia. La critica, e le parole ed i
concetti che si usano per attuarla, devono reggersi su questo punto fisso:
la storia. A volte la subiscono, altre volte la negano e si rivoltano.
Pi spesso, molto semplicemente, la eludono.
Ora, nel momento di sconvolgimento che la rivoluzione informatica sta
attuando - e che io intendo come sconvolgimento del modo in cui avviene
il racconto dei fatti, e quindi del modo con cui i miei sensi hanno coscienza
della realt e verit dei medesimi - mi domando: come pu
il giudizio sui fatti (la critica) adeguarsi al nuovo modo che questi
hanno d'essere recepiti (i sensi), se prima non riscrivo il significato
del racconto che li tiene insieme (la storia)?
Questo, io credo, il problema.
Quindi affrontiamolo. O perlomeno proviamoci.
Due aspetti, secondo me, appartengono in modo determinante alla struttura
del concetto di storia. Il primo concerne la definizione di ci
che chiamiamo fatto, evento; il secondo il criterio di verit che
affidiamo allo stesso.
Un evento qualcosa che avviene in un determinato luogo e in un
determinato momento. Spazio e tempo sono condizione necessaria e unica.
Infatti lo stesso evento non pu succedere in tempi diversi e nessuno
potrebbe trovarsi fisicamente in luoghi diversi nello stesso istante.
Questo mi pare ovvio. Ma se si altera il concetto di spazio? Se togliamo
il fisicamente, andiamo oltre la materialit dello spazio e consideriamo
l'esperienza dello stesso nel modo in cui ci perviene attraverso i sensi
- tutti i sensi -? Tutti i giorni, attraverso la televisione, subiamo
un processo di dislocazione: fatti che accadono a distanza vengono percepiti
dai nostri sensi in un luogo diverso ma contemporaneamente.
Tutte le sere, guardando i telegiornali, facciamo esperienza di luoghi
e fatti che accadono nella nostra casa - perch qui i nostri sensi
ne hanno percezione - ma che sono dislocati altrove. Questa esperienza
in prima persona, questa coscienza dei fatti, dal mio punto di
vista fondamentale. Infatti noi abbiamo coscienza del passato o perch
l'abbiamo vissuto in prima persona o perch qualcuno ce ne ha dato
il racconto. Ci che abbiamo vissuto ci stato raccontato
dai sensi; ci che non abbiamo vissuto ci stato raccontato
da altri. Ebbene, vi una differenza sostanziale tra i due casi.
Infatti, ci che abbiamo vissuto ci giunto in forma di
cronaca, come elenco di fatti e situazioni a cui noi diamo la nostra personale
interpretazione, strutturandoli in una specie di resoconto interiore.
Ci che non abbiamo vissuto, non ci mai pervenuto come
insieme libero di fatti autonomi - quindi come cronaca - ma, se letto
per esempio nei libri di storia, ci stato trasmesso dentro una
trama ben strutturata, composta e costruita secondo il racconto dello
storico che l'ha scritta. Siamo costretti, quindi, non a dare senso ai
fatti ma a comprendere qualcosa che un senso gi possiede.
Ci che tradizionalmente chiamiamo storia narrazione storica,
racconto nel quale la successione degli eventi sta all'interno
di una trama ben definita e qualsiasi accadimento, letto all'interno di
questa trama, ha una collocazione univoca e un significato riferibile
sempre e soltanto a tutto il racconto nella sua interezza. Questa
l'idea di contesto, di contesto storico: ogni affermazione riferibile
solo al testo che la contiene.
Bene, io credo che oggi, nella cosiddetta societ dell'informazione,
i fatti e gli accadimenti giungano alla nostra percezione in forma libera,
addirittura anarchica, soprattutto perch dislocati e privi di
una trama significativa. Un fatto, un evento non sta qui, ora, per un
preciso motivo; sta qui ma altrove, ora, forse per mille motivi.
Non c' contesto, ma solo contemporaneit.
L'aspetto relativo alla verit del racconto storico,
come ho detto, dipende dalla relazione con la quale crediamo vero un fatto
realmente accaduto. Crediamo vero, per esempio, il fatto che Garibaldi
sia sbarcato a Marsala perch, non avendoci partecipato in prima
persona, cos ci hanno raccontato. Coloro che ce lo hanno raccontato
dicono che altri hanno riferito il racconto di coloro che erano presenti.
Il nostro criterio fa riferimento ad una successione di racconti tutti
conseguentemente strutturati in trame diverse e contestuali: il contesto
del racconto di chi ha partecipato al fatto non quello dell'ultimo
che ne ha riportato l'avvenimento. Quindi, ogniqualvolta il racconto si
arricchito di un nuovo autore, cambiato il significato
dell'evento rispetto alla trama che lo scrittore ha costruito per comporre
il testo che lo contiene. La verit ed il conseguente motivo di
consapevolezza che ne deduciamo fondano s sull'oggettivit
del fatto il loro convincimento, ma il giudizio che ne deriva
condizionato dalla trama in cui lo stesso inserito. Lo stesso
fatto, esposto all'interno di trame diverse, porta a giudizi diversi.
Se, quindi, il giudizio che diamo rispetto alla conoscenza dei fatti passati
viziato dal contesto relativo al racconto che li esprime, pensiamo
a quanto pu essere viziata la semplice percezione dei fatti che
la virtualit degli attuali mezzi di comunicazione comporta.
La rivoluzione informatica ci propone una realt virtuale - una
realt che ha in potenza la caratteristica di essere tale ma di
fatto non lo - scombinando definitivamente l'equazione reale=vero.
So di aver toccato un tema vasto e importante. Tema al quale
devono riferirsi tutti gli argomenti della cultura che hanno un qualche
riferimento con il giudizio. Qui trattiamo di architettura e non nascondo
il sentimento di sorpresa con cui ho letto l'intervento di A. Saggio a
Reggio Calabria che, nell'ambito di un "omaggio a Bruno Zevi",
e soprattutto definendoci <<di Zevi "contemporanei">>,
pare dare un senso, da un'ottica differente, a quanto ho appena scritto.
Cos Paolo G.L. Ferrara, nel rimescolamento che intende nel suo
"gioco delle tre carte", ci invita a uscire dal recinto concettuale
che governa le tre figure fondamentali della materia: storico, critico,
architetto. Ora occorre lavorare per capire se, nell'assenza di un ruolo
privilegiato, le tre figure debbano convivere, coabitare o sopportarsi
vicendevolmente.
Dal mio punto di vista, mi piacerebbe capire se c' la possibilit
di scrivere la storia senza un racconto e senza una trama, senza un prima
e un dopo, senza un nuovo e un vecchio. Forse una storia liberata dall'idea
di progresso a tutti i costi. Una storia dove tutto "contemporaneo".
|