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Nell'anno 2000 circolava un manifesto della sinistra giovanile in cui si chiedeva
l'abolizione degli ordini professionali. Allora, governava il centro-sinistra
ma, da allora, nulla successo. Anzi sono spariti anche i manifesti. Soffocata dalla retorica del "paese normale" c' finita l'unica cosa veramente
normale che si potesse chiedere: l'abolizione di un privilegio vergognoso come
quello della difesa e tutela delle professioni intellettuali, ovvero, il garantismo
ridotto a virt di casta. Invece di chiedere prima sacrifici al ricco mondo
di notai e farmacisti si preferito chiederli al disusato e malandato
mondo un tempo operaio.
Gi gli amici radicali, qualche anno prima, proposero con un referendum
di abolire l'ordine dei giornalisti; alla gente, per, non freg
niente e la stessa disert il voto. Oggi, anno 2003 e dopo infinite insistenze
della Comunit Europea, lo Stato Italiano, di malavoglia perch
non costretto da nessuna pressione di piazza che preferisce agitarsi per altri
motivi, deve mettere mano a una riforma che dovrebbe conciliare la Scandinavia,
dove uno l'architetto lo fa come se facesse il pittore o lo scrittore - e quindi
disegna e scrive senza dover rispondere a nessuno se non ai propri lettori - con
paesi pi vicini al terzo mondo come il nostro dove, se non esibisci almeno
un paio di timbri e certificati in pergamena, rischi di non vedere un euro perch
nessuno vuole pagarti. Da noi un'idea, se non ben timbrata, di solito
vale niente. Garanzie, si dice, per l'utente che, pagando profumatamente, ha diritto
ad un trattamento di qualit garantita. Ma quale qualit visto che,
per averla, il ministro della cultura ha persino pensato una improbabile legge?
C' da chiedersi: dato il disastro urbanistico che c' in giro e
il gran lamento sullo sfascio del patrio suolo, finora hanno lavorato solo progettisti
impostori, non autorizzati e sprovvisti di iscrizione negli albi? Io credo di
no e, come mi hanno pi volte fatto notare Alberto Scarzella Mazzocchi
e Beniamino Rocca, rispettivamente presidente e vice presidente del Co.Di.Arch,
se gli ordini prendono le distanze da questo tipo di responsabilit vuole
dire che non servono assolutamente nulla e, anzi, sono spesso alibi e copertura
per le malefatte e le incompetenze di qualche loro iscritto. Il problema, pi
che la salvaguardia dell'architettura e di chi dovrebbe fruirla, pare essere invece
la spartizione di una torta che seppure grande deve sfamare, tra architetti (circa
110 mila), geometri, ingegneri e altre professioni tecniche, mezzo milione di
persone.
A Bari in atto il VI Congresso nazionale degli architetti in programma
da gioved 30 ottobre a sabato 1 novembre alla Fiera del Levante.
Nel documento programmatico (docprogr.pdf) al capitolo "Professionalismo
Terza logica - La professione e il ruolo di indipendenza fra pubblico e privato"
si legge: "L'appartenenza dell'ideal-tipo architetto ad una propria "logica",
ad un nuovo ordinamento anche giuridicamente definito e collaudato, apre nei confronti
della committenza pubblica e privata una dialettica che trascende le regole riconducibili
alla mera competitivit, profitto ed efficienza per trovare forza ed espressione
in categorie quali l'autonomia di giudizio e la coscienza etica. Questo per difendere
nello stesso tempo i legittimi interessi della Committenza e l'interesse generale
[logica del professionalismo]."
Il professionalismo si pone qui nei confronti della professione come il prete
nei confronti della religione. Non ci sono pi uomini in carne ed ossa
che devono fare i conti della spesa e calarsi nella competizione quotidiana ma,
per virt e vaglio di coscienza, ci si chiama fuori purch la parrocchia
mantenga e sostenga perch, se c' la religione, ci deve essere
anche il prete. Troppo comodo, anche per il prete, visto che la parrocchia dovrebbe
essere cos ricca da consentire al sacerdote di farsi gli affari propri
lucrando sulle necessit dei bisognosi parrocchiani. Tutto questo non funziona
in un ragionamento normale, figuriamoci quando ci sono di mezzo i quattrini. Quindi
ha straragione il commissario Monti a pretendere per i professionisti lo stesso
destino dei normali cristiani. In fondo sono uomini e hanno i vizi degli uomini,
non quelli dei preti.
Sul concetto di concorrenza e competizione bisognerebbe poi finirla di storcere
il naso. Infatti, la competizione non implica solo il vile denaro - che tanto
vile non dev'essere visto il tenore stratosferico delle parcelle italiane - ma
riguarda soprattutto i concetti e le idee che governano i progetti.
Nella situazione attuale, "ordinata" per vincolo, non si fa differenza
tra tradizionalisti e modernisti, tra neorazionalisti e organicisti, tra postmodernisti
e decostruttivisti e chi pi ne ha pi ne metta. Per l'ordine gli
architetti sono tutti uguali e tutti, se iscritti, garantiscono al cittadino la
qualit del loro lavoro. Ora, se per qualit dell'architettura intendiamo
che uno sciacquone funzioni quando si tira l'acqua, non mi pare il caso d'investire
di titolo e medaglia l'artefice di tanto successo. Se, invece, pretendiamo dalla
qualit delle cose anche, ad esempio, una certa attenzione al corredo artistico
dell'architettura - che ovviamente concerne il suo linguaggio e non altro - allora
gli argomenti cambiano e diventano parecchio complicati. Un tempo, all'epoca delle
scuole Beaux Arts, si pensava che la bellezza delle cose fosse nel disegno, nella
forma e nella storia, dentro modelli ben definiti che si potevano trasmettere
ed insegnare.
A quel tempo si era architetti come si era pittori o scultori e non c'erano ordini
capaci di misurare competenze che di fatto potevano verificarsi ed essere verificate.
Da allora passato un secolo e, malgrado quelli che vorrebbero tornare
indietro, dopo la rivoluzione del moderno diventato difficile stabilire
a priori una qualsiasi formula estetica e linguistica, moltiplicabile e dispensabile
in copia. Purtroppo, dopo il moderno - ma in verit succedeva anche prima
- per avere un po' di poesia necessario rivolgersi ad un poeta. Ma grazie
al cielo non esiste l'ordine dei poeti, con tanto di catalogo degli iscritti alla
professione della poesia, per cui spetter alla libert del cittadino
distinguere tra la poesia seria e le fesserie di un qualche improvvisato. Come
far l'ingenuo cittadino, tanto per calarci nei panni nostri, a distinguere
un'architettura vera garantita dallo stato da una finta? Ma quali sono le architetture
vere e quali quelle finte? Quali sono serie e quali sciocche? A detta di Gabriele
Sirica e della rivista L'architettura, cronache e storia (n. 576) "l'approvazione
della legge quadro sulla qualit architettonica, fortemente voluta dagli
architetti e realizzato dall'azione corale degli ordini italiani, pu attivare
quel processo virtuoso di riqualificazione urbana e dell'ambiente. Sicuramente,
questa legge, metter in moto la buona fede e la volont di molti
architetti, ma secondo quale criterio di qualit, quello di Gregotti, di
Cervellati, di Portoghesi, oppure quello di Bruno Zevi?
Questa ovvia difficolt intellettuale, vista soprattutto l'esistenza di
una legge sul diritto d'autore che, di fatto, equipara le opere di architettura
a quelle di pittura, scultura, musica e letteratura, ci costringe all'unica scelta
seria che sembra essere quella di concedere ai poeti - compresi quelli dell'architettura
- di scrivere le loro opere senza costringerli in elenchi impossibili e insensati.
Per questa ragione prima di tutto necessario abolire l'ordine degli architetti.
Dopodich vedrete sar pi facile anche la riforma universitaria. |