La carica dei Cinquecento
 
  Oggi il 11/10/2007
Storia e Critica
La carica dei Cinquecento
di Mario La Ferla
Articolo gi pubblicato su "L'Espresso" nel 1978
Ministri, sottosegretari, funzionari pubblici, imprenditori, mafiosi. Lelenco dei saccheggiatori della valle del Belice non completo. Bisogna aggiungere: architetti e urbanisti. Arrivarono, dieci anni fa, a Gibellina, Partanna, santa Ninfa e negli altri comuni distrutti dal terremoto: la gente, infreddolita, impaurita, disperata, riserv accoglienze calorose. Questi luminari dellarchitettura e dellurbanistica godevano della fiducia del ministro dei Lavori Pubblici, vantavano una solida fama di uomini davanguardia, assicuravano la ricostruzione del Belice in poco tempo. Promettevano case confortevoli, cimiteri signorili, chiese lussuose, strade e superstrade, stadi, biblioteche, ospedali, cinema, teatri.
La Svezia! La Svezia, annunciavano. La gente ci credeva. Oggi, se qualcuno di questi luminari si azzarda a mettere piede nel Belice, rischia il linciaggio. Dove sono le case? Dove sono gli ospedali? Ci sono soltanto casette che minacciano di crollare da un momento allaltro, un asilo costruito sullargilla, tronconi di autostrada dove giocano i ragazzini. Il resto rimasto sulla carta, progetti campati in aria, sogni irrealizzabili. Ma progetti e sogni sono costati tanti miliardi.
Quando nel marzo del 1968 lIses venne incaricato di spendere i 348 miliardi dello Stato per la ricostruzione del Belice, chiam a raccolta il fior fiore degli architetti e urbanisti italiani. Per non fare torto a nessuno, per evitare polemiche tra partiti e correnti, ne chiam cinquecento. Quando qualcuno fece notare che per costruire Brasilia intervennero una trentina tra architetti e urbanisti, i dirigenti dellIses lo tacciarono di provocatore e nemico del Belice. Cos, con lapprovazione del ministro, che era Giacomo Mancini, lIses dette il via alla carica dei 500 architetti.
Cerano tutti; non mancavano i grossi nomi: Ludovico Quaroni, Giuseppe e Alberto Samon, Vittorio Gregotti, Maurizio sacripanti. Questi e tutti gli altri sono professionisti da cento milioni a parcella. Chi paga?, chiedevano al presidente dellIses, Baldo De Rossi. Non vi preoccupate: paga lo Stato, rispondeva De Rossi. Daltra parte, nellIses laccordo era perfetto. Coordinatore di questo immenso programma era Fabrizio Giovenale, architetto e docente universitario, attuale vicepresidente di Italia Nostra.
Fin dalla primavera del 1968, allIses erano tutti convinti della necessit di chiamare a raccolta il maggior numero possibile di architetti e urbanisti. Mancini era addirittura entusiasta e riceveva ogni mese relazioni confortanti sullandamento dei progetti da parte dei tre consiglieri dellIses che rappresentavano il ministero dei Lavori Pubblici: Vincenzo Di Gioia, Giuseppe Perugini, Folco Romano. Infine, la presenza dei socialisti Baldo De Rossi e Fabrizio Giovenale conferiva alloperazione il marchio della seriet.
Ma liniziativa dei 500 architetti e urbanisti aveva poco di serio. I pi provveduti se ne sono accorti soltanto qualche anno dopo, quando Sergio Bracco, assistente di Ludovico Quaroni, ebbe la temeraria idea di organizzare una mostra nelle principali citt italiane dei progetti preparati dai luminari per la ricostruzione del Belice. Era la primavera di due anni fa [Larticolo del 1978; n.d.R.]. La gente nella valle aspettava, dopo otto anni, le case e Bracco presentava con orgoglio i fantasiosi progetti irrealizzati. Con quella mostra, finita indecorosamente la carica dei 500 nel Belice. Cosa rimasto? Un immenso materiale cartografico e una voragine nelle casse dellIses.
Prima di tutto, gli architetti pi arditi, quelli che avevano fama di avanguardisti, decisero una cosa che fece arrabbiare gli abitanti del Belice: Trasferimento di alcuni Comuni e conurbazione in un solo Comune. Che voleva dire? Semplicemente questo: costruire un grande centro e trasferirvi gli abitanti di tre o quattro omuni di strutti dal terremoto. LIses present ai sindaci di Gibellina, Salaparuta e Poggioreale questo progetto: abbandonare le zone dove sorgevano questi tre Comuni e trasferire tutto a Partanna.
Tranne il sindaco di Gibellina, Ludovico Corrao, i sindaci di questi Comuni non hanno unistruzione, come si dice, superiore, ma sono persone di buon senso. Quindi, pregarono i signori dellIses di riferire ai loro luminari dellurbanistica di stracciare il progetto. LIses replic: di cosa vi preoccupate? Dite che i contadini non possono raggiungere i campi che hanno lasciato nei luoghi dorigine?Ma noi costruiremo strade e superstrade velocissime e ogni giorno i contadini di Gibellina, Poggioreale e Salaparuta, trasferiti a Partanna, potranno andare tranquillamente a zappare. Ma le automobili chi ce le d?, chiesero i contadini. Anche per questo non ci sono problemi: attorno alle superstrade sorgeranno industrie che daranno lavoro ai vostri figli e cos vi potrete comprare le automobili.
Se questo dialogo non ci fosse stato riferito da persone degne di fede, saremmo costretti a credere che per lo meno incauto fu colui che affid a simili personaggi lincarico di ricostruire il Belice. Ma non finita qui. Restiamo a Gibellina. I contadini chiedevano le case e le stradette per raggiungere i campi. Niente stradette, decisero i luminari dellIses, qui occorrono grandi strade, perch fra poco sorgeranno molte industrie. E le case? Le case dovranno attendere il loro turno, replicarono i luminari con tanto di documentazione scritta, prima le strade e gli svincoli, poi le case.
Intanto, Ludovico Quaroni, Giuseppe e Alberto Samon, Vittorio Gregotti presentaano il progetto per la nuova Gibellina. Prima di tutto, la chiesa. Quaroni scelse la forma sferica: unenorme biglia di 20 metri di diametro poggiata su blocchi murari con unossatura in calcestruzzo riempita con i detriti estratti dalle macerie della cittadina. In questo modo, si sarebbe raggiunto lo scopo di sposare il nuovo al vecchio! Il duo Samon si occup del teatro: venne prescelta la forma del cono incastrato con un prisma. Cos si costruiscono i nuovi centri in Scandinavia! dicevano i luminari ai baraccati. A quel punto, gli unici che credevano a queste cose restavano i responsabili dellIses e i ministri dei Lavori Pubblici.
Uscito Baldo De Rossi, alla presidenza dellIses subentr Girolamo Marsocci che non ebbe niente da eccepire sul lavoro svolto dal suo predecessore. Quando, poi, nel febbraio del 1973, Fabrizio Giovenale lasci la direzione generale dellIses, arriv Assuero Poggioni, che ne era stato direttore amministrativo. Poggioni oggi funzionario della Cassa del Mezzogiorno. Ma il peggio doveva venire. A Mancini ministro dei lavori pubblici, subentr Salvatore Lauricella.
Mentre Quaroni e i luminari preparavano ancora i fantastici progetti scandinavi, cera gente che non creava sogni di carta. Per esempio, Umberto di Cristina. Ex vicepresidente dellEspi, amico di Lauricella, docente di urbanistica alla facolt di ingegneria di Palermo, Di Cristina stato il pi attivo progettista del belice. A lui, per esempio, si deve lassurdo e costosissimo piano per la ricostruzione di Partanna. Ma un altro schieramento si faceva largo; era formato da dieci architetti e urbanisti: Paolo Angeletti, Carlo Chiarini, Michelangelo De Caro, Marco Majoli, Nino Milia, Sara Rossi, Giampaolo Rotondi, Paolo sadun, Marcello Fabbri e Luciano Rubino. A questi lIses affid la progettazione esecutiva per la parte edilizia e urbanistica di quattordici centri terremotati. Dove sono finiti i loro progetti?
Assuero Poggioni stato liquidatore dellIses. Dei progetti non c pi traccia. Resta traccia, per, dei conti, regolarmente pagati, ai luminari dellarchitettura e dellurbanistica e ai loro collaboratori meno famosi ma di grandi appetiti. Le parcelle per i 500 del Belice ammontano a 48 miliardi. se poi aggiungiamo i 30 miliardi spesi per la gestione dellIses, arriviamo a 78 miliardi. I baraccati del Belice chiedono: Cosa stato fatto con questo denaro dello Stato?.
E molto grave che questa domanda non se la ponga anche la magistratura.
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  14/10/2004
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