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Non sono un critico d'architettura. Sono un ex lavoratore studente-geometra, diventato architetto nei -turbolenti e fecondi- primi anni settanta, grazie al "Turno serale" voluto al Politecnico di Milano da Piero Bottoni, Guido Canella e, soprattutto, da Lucio S. D'Angiolini.
E' quindi con un certo imbarazzo che mi appresto a scrivere qualcosa su "Mario Galvagni, architetto", come mi stato chiesto dalla redazione di Antithesi.
L'avevo giusto provocata -la redazione intendo- chiedendo un parere su questo settantenne architetto, che per me -lo dichiaro subito- il migliore architetto italiano del dopoguerra. Ho visto per la prima volta le sue opere sul numero 449 de "L'architettura cronache e storia" (marzo 93), personalmente presentato da Bruno Zevi: "[...]Quasi come Carlo Mollino" -dice Zevi di lui, inquadrando subito il personaggio; non d per una chiara risposta alla sua stessa domanda:"... perch la rivista solo adesso ha deciso di pubblicare un'ampia rassegna delle sue opere e non negli anni 50 e 60 ?", terminando poi cos la sua presentazione: "...Non presentiamo Galvagni come una rivelazione, ma come un interrogativo utile e fecondo per tutti gli architetti, a cominciare dai nostri lettori .Quasi come Carlo Mollino, in altra chiave"
In questi ultimi mesi ho avuto la fortuna di conoscere personalmente Mario Galvagni e non ho resistito alla tentazione di chiedergli direttamente dei suoi rapporti con Zevi e di come mai un critico cos attento al fiorire di nuovi architetti (soprattutto al di fuori delle accademie) non si fosse accorto prima di lui.
Mi racconta Galvagni che Zevi lo chiam appena vide pubblicato su "L'architecture d'aujourd' hui" la casa Silva, ma il materiale da lui subito inviato alla redazione (foto di scarsa qualit e disegni a matita) fu giudicato insufficiente e gli fu richiesto di fare nuove foto e disegni a china.
"Al diavolo Zevi e la sua rivista!", disse il giovane Mario, che richieste erano mai queste! Anche Michelangiolo disegnava a matita e per risparmiare la costosa carta di pergamena disegnava sopra al disegno, correggeva, complicava, deformava; perch mai avrebbe dovuto semplificare ed impoverire il suo modo di disegnare architettura, imparato a Brera con Carlo Carr, Aldo Carpi, Vittorio Vittorini e passando giornate davanti ai disegni originali di Leonardo, Michelangiolo e compagnia bella in quasi tutti i musei di Italia e di mezza Europa?
Ecco spiegato il silenzio quarantennale tra i due, uno scontro tra forti personalit, come spesso succede tra numeri uno, tra critico e artista.
Gi, perch Galvagni non solo un architetto, anche pittore, scultore e un p poeta.
Le sue case in Liguria hanno influenzato le sculture nella poetica di un Arnaldo Pomodoro, le ricerche sulla luce di Lucio Fontana e le relazioni con il territorio di Emilio Scanavino, da lui frequentati ad Albisola e nella galleria "Il Punto", di Remo Pastore .
Come ha scritto felicemente Michele Calzavara sul numero 414 di Abitare, persino Carlo Scarpa ha tratto certa ispirazione per i motivi della "cornice a dentelli", resi famosi nel mondo dall'architetto veneziano con la sua Banca Popolare di Verona e con la tomba Brion, ma sperimentati per primo da Galvagni nelle sue case.
Ma andate a guardare il suo sito internet : digilander.iol.it/galma
Guardate bene casa Silva: volumi inclinati come il profilo delle montagne che fanno da sfondo, masse di pietra e di legno che si scontrano e si incastrano in un dinamico tumulto di forme. La verticalit viene frammentata e scomposta in linee oblique che, invece di un precario equilibrio, diventano una stupefacente immagine di solidit e di radicamento al suolo. E guardate bene la data di costruzione:1954.
Ditemi voi ora, chi in Italia ha saputo realizzare un'architettura di tale forza espressiva cos avanti sui tempi?
E nel mondo, quanti in grado di far meglio nel 1954 appunto, a soli venticinque anni di et?
Peter Eisenman, pi di dieci anni dopo(1967),non andava molto pi in l di una buona architettura scatolare e l'ottimo Frank O.Gerhy era ancora impegnato a rivisitare il linguaggio wrightiano (casa Steeves,1958). E guardate bene Casa Beretta Menino, in Val d'Ajas - Aosta- del 1968, ancora pi sconvolgente.
Ma c' dell'altro che mi piace raccontare di Mario Galvagni.
Non era solo Zevi a conoscere casa Silva quarant'anni fa.
La redazione milanese di Casabella gi la conosceva.
Il ventiseienne Galvagni prima che ad altri buss infatti alla porta della redazione di via Monte di Piet. Si present con tanto di foto, la porta si apr e comparve proprio Gae Aulenti (allora impaginatrice della rivista), infil le foto in un cassetto e l rimasero, per sempre.
Ma Rogers fu onesto con il giovane architetto. Quando vide le foto, gli disse che mai Casabella avrebbe pubblicato le sue opere perch troppo dissonanti con il suo credo architettonico, avrebbero disorientato i suoi studenti.
In verit, nemmeno Galvagni fu tenero con Rogers quando nel 1966 l'editore Bruno Alfieri gli pubblic il bel libro monografico "Mario Galvagni-Opere d'Architettura-1960/1966". Guardate un p cosa scrisse lo stesso Galvagni su quel libro a proposito della rivista Casabella:
"[...]occorre denunciare l'operato subdolo retrivo, falso sul piano culturale, di gruppi come quello che fa capo alla rivista di architettura Casabella, diretta da Ernesto N. Rogers. Gli esempi? Ogni numero della loro rivista ne una prova. Mentre l'editoriale afferma una cosa, il contenuto dimostra il contrario. I risultati? Questi gruppi hanno diffuso la pseudo architettura "strapaesana", fatta di cubetti con tetti a due falde o al massimo a padiglione, con finiture leziose. Accostati allo strapaese diventano un villaggio agricolo che il fatto pi reazionario di questi ultimi anni perch nega la forma della citt che la pi alta creazione dell'uomo, in cui attraverso e dentro di essa scaturita la civilt. E immiseriscono gli animi con la loro ammonizione: "bisogna essere modesti come fantasia ed espressione moderna"; ma tutti ormai hanno capito che non si tratta di dialettica, di espressioni teoriche o di modestia nell'eseguire, ma di vero e proprio impedimento: di sterilit. Il veleno dei loro editoriali stato ed propinato non senza una certa scaltrezza (che accompagna sempre le pseudo cose) e per questo pi pericoloso: lo alternano alla presentazione di opere dei grandi maestri, per mostrare che si parla di architettura moderna. Ma nello stesso tempo preferiscono i maestri quando sono morti o cercano ( i viventi ) di renderli subito accademici . Questa tecnica velenifera poi dilatata verso gli pseudo concetti pi vasti, come quello delle citt regione o dei piani regolatori : per dimostrare come sono grandi i problemi e come inutile e dannoso considerare l'opera dell'artista moderno nella sua individualit col risultato di uccidere l'arte.
Essi poi evitano l'informazione leale e scientifica, censurano, temono la tecnica dell'operare moderno in arte; tengono persino il pi possibile nascosto (o per lo meno non lo hanno posto in aperta e pubblica discussione) l'esito dell'ultimo congresso CIAM, dove il gruppo che voleva rappresentare l'Italia (ma erano poi loro stessi) stato attraverso le opere presentate, preso (giustamente) a pedate nel sedere.
Chi non ricorda poi il padiglione italiano di Bruxelles ? Ma naturale che tutto ci sia accaduto ed ha la sua logica nel fatto che i CIAM erano stati fondati da un artista moderno e loro erano l'accademia.
A tutto questo non si arrivati di colpo, ma per gradi : distruggendo a poco a poco, attraverso la distruzione dei valori e delle conquiste morali dell'operare singolarmente, la figura dell'artista moderno e della sua tecnica, inoltrando il veleno della pseudo opera d'arte fatta collettivamente, cio propinando il falso team perch il vero deve essere il compendio di civilt artistica rappresentato dalla altezze espressive dei singoli. Non naturalmente dalle bassezze come loro vogliono. Da questa fase che eliminava l'uomo come artista era facile passare a quella della sostituzione dei compiti e delle capacit, invece di ragionare sull'opera d'arte, sui mezzi espressivi e sui sentimenti con cui l'artista moderno impegnato ed i suoi propri compiti; il veleno era ed propinato dagli pseudo apostoli i cui distillati statici, economici, sociologici, evidenziano il risultato, che scendendo su un terreno cos falso ed improprio, per cui il traslare e travisare questo pensiero artistico nella sua politicizzazione ne fanno la mira dell'impreparata classe politica. Milano 15 gennaio 1965" .
Ecco, essere un personaggio libero, non allineato e per giunta architetto geniale, non lo ha reso simpatico all'accademia ed agli architetti che contano. E d'altra parte, come poteva essere accettato dalla critica che conta un architetto/pittore che si inventava le occasioni di lavoro rispondendo agli annunci sul Corriere della Sera, portando il cliente sul greto del torrente a scegliere, sasso per sasso, il materiale con cui costruire la casa che avrebbe progettato insieme a lui rendendolo partecipe di quella avventura meravigliosa che creare nuove forme, modificare il paesaggio? Come poteva essere inquadrato un architetto/ capomastro che nel progettare il trampolino per il Lido di Gozzano (sul lago d'Orta) si tuffa in acqua per un'intera giornata perch nessun operaio dell' impresa era in grado di fissare il cassero in legno a tre metri di profondit, predisposto con la forometria d'invito per gli opportuni collegamenti alla piattaforma di fondazione?
Eppure quest'architetto aveva gi esposto alla decima Triennale di Milano (1954-55) una sconvolgente casa a spirale costruita con materiali nuovissimi, in cui le forme poliedriche si ramificano dalla struttura in profili di acciaio da un punto del suolo e si autoframmentano in percorsi diagonali lungo una direttrice a spirale ancora oggi visibile al Parco Sempione.
Altro ancora vi sarebbe da dire sulla sua ricerca, sul suo modo di fare architettura, sulla sua capacit di ricercare "matrici formali" nella stratificazione delle rocce, nelle onde sulla battigia, nelle forme di un fiore o di una foglia, perch come lui dice, "L'architettura nasce da un'emozione e il luogo sempre in relazione alla natura antropizzata e alla stratificazione storica delle sue morfologie e va interpretato come un percorso percettivo e la cosa pi affascinante che di tutto ci non necessario rendersene conto, lo si percepisce geneticamente."
Ma non voglio togliere il piacere di altre scoperte a chi riterr di ascoltare il mio consiglio e navigare un p nel suo sito.
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