Architettura, lezione numero 21
La cultura, quella alta, una sola: quella umana, che ha un principio
fondamentale inviolabile: tutto ci che pu e vuole vivere deve poterlo
fare.
Il verbo 'vuole' distingue l'uomo dagli altri viventi, perch solo l'uomo ha
coscienza e conoscenza della propria condizione, e solo lui pu agire
decidendo.
Ma proprio tutti devono vivere?
possibile fare eccezioni?
Ecco, quando ci si pone questa domanda, che impone distinzione tra esseri
con gli stessi diritti, si comincia a costruire una sottocultura a cui
appendere le pi fantasiose teorie che sempre, nella storia, sono approdate
infine nel razzismo (pi o meno mascherato), nella prevaricazione e nella
violenza omicida. Poi guerra e catastrofi.
Ma in questo modo si esce dalla sfera del principio generale che, essendo
tale, sta al di sopra di tutto e lo governa.
Semplice.
Perch?
Perch la morte per la natura non un problema, perch non esiste, solo
un cambio di relazioni, e pensare di poterla gestire con linterruttore
della ragione pura illusione. Non gestibile, non attraversabile
nemmeno col pensiero. A dirla tutta non nemmeno concepibile, come
dimostrano le varie allegorie popolari nate per rappresentarla.
Ve lo posso garantire perch ci ho provato ad attraversarla, avendone avuto
recentemente la necessit per capire.
Quando si ha un problema serio, infatti, molto serio, non lo si pu
semplicemente saltare, scartare o sorpassare. Per risolverlo e superarlo lo
si deve attraversare, bisogna passarci dentro e, quando ci si trova
dallaltra parte, se ne esce in piedi e sulle proprie gambe, pi forti e
attrezzati di prima.
Ma questa volta non ce l'ho fatta.
Impossibile.
Non essendo credente, senza neanche il conforto del buon Dio, sono rimasto
coinvolto in un viaggio verso niente, un buco nero che assorbe ogni minima
energia.
Per dopo si capisce molto.
Si guarda da una prospettiva diversa, dal basso, di traverso, mai centrali -
ho detto si guarda non si vede che fa unenorme differenza. Si
guarda dal fondo della fossa - perch mentalmente ci si stati - e si
guardano tutte le sottoculture che sono proliferate per riempire in qualche
modo questo infinito niente.
Sottoculture piccole e grandi, come sono rispettivamente il localismo o le
religioni, tutte pronte a occupare uno spazio che non esiste e rivendicare
una qualche superiorit etica rispetto ai propri simili. Ma le differenze
tra culture religiose, o altre semplicemente polari, non stanno in un
contenitore etico, ma molto pi banalmente estetico. Nessuna di queste
vivrebbe senza liturgia, senza costumi, senza danze e cori, mentre la
cultura vera, i principi, non hanno bisogno di rappresentazione alcuna.
Due considerazioni da fare, quindi.
Prima: se una figura culturale a cui ci riferiamo non ha necessit di
immagini allegoriche, vuol dire che sta ai piani alti delletica e governa
(o dovrebbe) governare tutti gli altri.
Seconda: se quella che noi chiamiamo estetica, che larte, seduzione dei
sentimenti, ha un potere cos forte da portare sul piano dei principi anche
solo piccole comunit locali - spesso con lappoggio di importanti e forbiti
intellettuali - bisogna riconoscere che, rimesse le cose al loro posto
nellarmadio dellesistenza, questa virt pu essere uno strumento efficace
e straordinario per dare alle coscienze quella che lunica ragione di vita
della comunit umana: vivere.
Larte ha proprio questa funzione.
Larchitettura arte in questo senso.
Non importa se deve chiedere aiuto alle scienze tecniche e umanistiche tutte
insieme, lo chieda anche nei posti dimenticati, perch ha uno scopo pi alto
che si rivolge direttamente al principio generale della vita.
Ogni architetto ha quindi il dovere di lottare per questo scopo, mettendosi
in gioco per liberarsi del giogo delle parcelle sempre pi addomesticate da
una concorrenza in cui la qualit professionale sta diventando sempre pi
tecnica e legale. Larchitettura, dimenticata, e riservata solo a chi la sa
donare col piglio del maestro di cerimonie del Re Sole, cos muore e con
essa la meravigliosa societ che ha costruito.
Nella foto: Arazzo di Eugenio Tibaldi - 2016
Lezione numero 22
Ora veniamo alla ragione chiave, secondo me, di tutto il disastro
urbanistico contemporaneo, realizzato con una visione solo legale e
utilitaristica del costruito. Manca del tutto l'architettura, mai citata,
che dovrebbe, invece, essere lartefice principale di ci che si costruisce.
Voglio chiarire che sto parlando di architettura e non di architetti.
L'architettura la fa chi la sa fare e non solo chi crede di averne i
requisiti e l'esclusiva. Quellarchitettura che insiste a chiedere una legge
apposita per favorire lo sviluppo e la crescita culturale e sociale del
paese, ma infine non pu fare nulla contro questo principio assoluto e
generale che, anche recentemente, la Corte di Cassazione ha dichiarato
prioritario su tutte le altre norme, inderogabile, al punto che sembra
valere pi del diritto a non annegare in mare.
Al diritto alla vita, e viverla come si vuole, si possono opporre eccezioni,
anche le pi fantasiose o volgarmente egoistiche o meschine, ma questo
principio non tollera eccezioni.
Credo quindi che ci debbano essere robuste ragioni ideali e fondate su
solide basi scientifiche per rivendicare, fino alla corte pi alta, la
propria autorit giuridica.
Ebbene, non si tratta nemmeno di una legge ma di un articolo di un decreto
ministeriale, che avrebbe dovuto essere solo provvisorio: l'art. 9 del D.M.
n. 1444 del 1968, ma che, dopo aver devastato mezzo paese, resiste
inossidabilmente da 62 anni, tanto da diventare monumento di un pensiero
ormai dato per scontato: concernr la distanza che occorre tenere tra pareti
che contengano finestre, anche una sola, e non importa dove. La ragione di
tale imposizione sta nella insalubrit degli edifici che anfratti, cavedi o
altre composizioni planimetriche potrebbero determinare. Per questa norma,
Genova e tutti i centri storici italiani andrebbero demoliti e sostituiti
con un plan Voisin nazionale. I tempi del decreto sono pi o meno quelli
nei quali Le Corbusier - architetto immenso ma urbanista da arresto -
pontificava teorie oscene.
In quegli anni, nei centri storici - ora chiamati tecnicamente zone A - ci
vivevano gli immigrati del sud del paese, in edifici senza bagni, umidi,
inadeguati, e la gente del posto scappava nella prima periferia in alloggi
nuovi, con grandi finestre e balconi al sole. Risulta perci legittimo che
teorie che favorissero il rinnovamento delle proprie vite fossero favorite.
Poi le situazioni cominciarono a cambiare.
Tutti noi, oggi, possiamo sperimentare che girare a piedi in una contorta
strada larga 3 metri d sensazioni ben diverse dal frequentare vialoni
paralleli e percorsi da automobili veloci.
Tutti noi abbiamo ormai conoscenza daver sviluppato tecnologie per il
restauro ed il recupero degli edifici - in Italia siamo i primi al mondo - e
che se le abitazioni, dopo il restauro, fossero ancora umide e dannose per
la salute, molti nuovi immigrati starebbero al posto di molte persone
facoltose che, invece, le hanno scelte per andarci a vivere, mandando il
valore del mercato immobiliare a livelli vergognosamente ostili. Di fatto le
zone A sono escluse dagli effetti di tale provvedimento, ma rappresentano
lesempio di come sia falsa e vecchia teoria affidare al solo distanziamento
tra i fabbricati la salubrit di un isolato. Teoria sul distanziamento che
funziona, pare, solo in tempi di pandemie, che sono tempi e situazioni di
emergenza, ma che dura da 62 anni ormai completamente fuori da ogni realt
immaginabile.
Ma soprattutto dimostra quando la progettazione dovrebbe favorire la
riduzione degli spazi sprecati, senza abuso e spreco di suolo, come
insegnano i vecchi centri che, suggerendo il loro impianto planimetrico,
oggi non si potrebbero realizzare.
Questa balorda, inconsapevole e potente limitazione ha guidato la mano di
ogni progettista che ha svolto attivit produttiva, costringendolo in
infinite scacchiere che costituiscono tutto il costruito dopo tale norma.
Prima comandava il Codice Civile, con prescrizioni ben collaudate che
arrivano dagli antichi romani, e che allora furono giudicate inadeguate al
nuovo tempo e superate.
Ma ora, non sono decisamente inadeguate?
Dove sarebbe questo robusto principio che dovrebbe tenere in piedi una
stupidaggine simile?
La desolazione delle periferie, la frustrazione di vivere intruppati in
scacchiere impersonali, non ha bisogno di sartoria, rammendi o altri
artifici retorici concilianti, ma di gomma arabica per cancellare una
stupidit urbanistica che giudici - che non sanno nulla di progettazione - e
funzionari - che probabilmente non hanno mai progettato - non riescono a
riconoscere sotto il loro naso.
Lezione numero 23
Ora una riflessione sulla differenza tra larchitettura e gli
architetti.
Ho ripreso un articolo da una rivista cilena che dice e si chiede perch un
bel numero di personaggi del passato, tra cui i pi noti, non avessero
titolo accademico specifico per progettare larchitettura (che il modo
ufficiale di certificare una formazione; ma quale, trattandosi sempre di
teorie in conflitto tra loro?). Eppure ne son diventati maestri.
Il caso pi noto in Italia riguarda Carlo Scarpa, dal talento immenso e una
determinazione pari, mai certificata con bolli e titoli, tanto da dover
difendersi pi volte in tribunale dall'accusa di abusare della professione.
Non tutti i paesi civili hanno per un elenco coi nomi di chi pu lavorare o
meno.
Noi, vergognosamente, portiamo avanti quello nato dalle leggi
razziali/fasciste del 1939, ma pare che nessuno se ne faccia un problema,
convinto com che per progettare sia sufficiente un pezzo di carta
autentico per salvarci dalla catastrofe ambientale. Un modo di ragionare che
lo Stato pratica giornalmente, per concedere o proibire, infischiandosene
altamente del resto e delegando ad ununica chiesa le tante
professioni ideali a cui il confronto, che viene proibito per
deontologia, farebbe solo bene.
Nel nord Europa la professione veramente libera e, nei paesi anglosassoni,
chiede solo di appartenere ad un organismo autonomo senza la benedizione
dello stato padrone.
Pi si scende a sud, pi aumenta la preoccupazione per la felicit
dellarchitetto e meno quello per larchitettura. E si vede benissimo quanto
conti il valore della progettazione al nord e quanto poco al sud.
La verit che per fare architettura ci vuole un architetto, vero, capace,
ma se non certificato, come suggerisce larticolo, forse meglio. Poi
possiamo parlare di professioni tecniche, ma quello un altro discorso.
Il link all'articolo tradotto :
Lezione numero 24
Nella lezione 22 precedente abbiamo scoperto con quanta inconscia
irresponsabilit la norma sulla distanza tra fabbricati con finestre abbia
rivelato il suo diritto di elevarsi a categoria di principio, incontestabile
e insormontabile. Ma non ne conosciamo pi la ragione che, se effettivamente
rimane quella dichiarata allepoca della sua emanazione, risulta sbagliata,
arcaica, superata, illogica ma soprattutto estremamente dannosa per la
composizione dei progetti d architettura.
Questo fatto, tra laltro, rimane sintomatico della pretesa della scienza
urbanistica di prevalere e governare larchitettura, assumendone il comando
(ma senza mai la responsabilit conseguente), la direzione e la condotta per
costringerla a rincorrere la banalit delle norme dentro a schemi sempre pi
rigidi e soffocanti.
La paranoia normativa ha raggiunto un livello tale che occorrono esperti
tecnici e legali per interpretare tutto ci che qualsiasi amministrazione
riesce a scrivere nei documenti, che siano piani di attuazione o di tutela
indifferentemente. Spesso illeggibili e grammaticalmente contorti perdono di
vista il motivo per cui vengono scritti ma dedicano tutto linteresse e
lattenzione alla sola parte ermeneutica e legale della questione,
instaurando una condizione giuridica anomala, goffa, imballata e ormai al
limite.
Nell'impossibilit di poter dialogare con un sistema altamente confuso,
ingessato, ma ben prefigurato e imposto dalle varie amministrazione, non si
trova nessuna possibilit espressiva sufficiente a giustificare una presenza
architettonica importante, non banale. Lunica architettura possibile deve
rivolgersi al proprio interno e diventare contesto di s medesimo, virando
fatalmente in una condizione autoreferenziale e unica, dotata di forte
personalit, tale da diventare una sorta di attrattore e riqualificare
lintero sistema urbanistico circostante. Lidea del museo di Bilbao, di
Frank Gehry, costruito in una delle parti meno prestigiose della citt,
impone con un atto darte inequivocabile questa pretesa riuscita.
Tra laltro, come tutte le opere pubbliche che possono realizzarsi in deroga
a norme che il diritto vorrebbe uguali per tutti.
Nelle citt contemporanee, la moda di affidare a firme note il progetto
degli spazi importanti, se da un lato sintomo di un provincialismo diffuso
e desideroso di farsi proteggere dal prestigio di un nome, dallaltro almeno
offre esempio per le visioni di un qualche futuro.
Ma la cosa pi importante che questa nuova centralit rimette in cima alla
gerarchia dei valori larchitettura e dimostra quanto l'urbanistica dovr in
futuro dipendere da essa.
Prima l'architettura perch soprattutto lei a definire lurbanistica
altrimenti chiamata alla soluzione di un falso problema.
Lezione numero 25
(Se vuoi un mondo migliore, inventalo - INTERNO14 - Roma - 2017)
Qui propongo tre testi brevi che avevo scritto a mano su fogli appesi ai
muri della galleria, per una mostra che avevo allestito a Roma grazie
all'invito di Luigi Prestinenza Puglisi, nell'aprile 2017.
Li ripropongo perch sono una buona sintesi delle mie idee e principi
sull'architettura. Idee che si possono discutere e cambiare, perch le idee,
con una buona ragione, si possono sempre cambiare, ma i principi mai.
Con questo testo finiscono le prime 25 lezioni che molto presuntuosamente ho
cos chiamato. Ognuno, ovviamente, libero di considerarle quel che vuole.
1 - Questo dipinto non rappresenta e non vuole rappresentare nulla; un
pensiero espresso e compiuto ma senza nessun significato.
La liberazione dal senso la conquista pi grande dell'arte contemporanea.
Il 'linguaggio zero' danza di segni nell'assenza di senso.
2 - Come per la musica e la danza, nessuna architettura ha senso fino a che
non glielo si attribuisce.
Le architetture sono generate dai gesti e non dai racconti: per questo
creano spazio. Cosa fare di questo spazio diventa un problema successivo.
Forma e funzione interagiscono, sempre, anche nella nostra indifferenza.
3 - Questo progetto una danza, un raccontare come travi, pilastri, muri,
vetrate nascano e comincino una loro vita autonoma. Come le persone nel loro
percorso quotidiano, a volte s'incontrano e altre si scontrano. Quando
questo avviene si genera sempre conflitto.
La capacit dell'architetto di risolverlo la parte pi interessante della
vita e, quindi, dell'architettura.
Si dice che il diavolo stia nei dettagli, perch l che nascono i
conflitti; perci i dettagli, per suscitare emozioni, hanno sempre necessit
di una premessa conflittuale. L'architetto, in fondo, si ispira sempre alla
vita.
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