Trovare confinate nello spazio di un plastico le fermate della metro dell'arte di Napoli musealizza l'esperienza quotidiana cristallizzandola in scala: un palcoscenico senza attori che brilla della sua chirurgica geometria attende i visitatori del museo MAXXI, da sempre teso alla valorizzazione delle architetture. Ben altro spessore si addice a quelle rappresentazioni digitali, di per s riproducibili, che vanno sotto il nome di render. Se dovessi azzardare la proporzione su cui si gioca il contributo che segue direi che plastico : museo = render : web. Capirete bene dunque che il pubblico di questa traduzione digitale si aspetta qualcosa da quello che vede in maniera diversa che non con il semplice plastico - dove la staticità suggerisce il movimento dell'immaginazione.
La rappresentazione digitale delle architetture non resta dunque confinata ai file .dwg di chi sviluppa il progetto ma viene resa pubblica - sarebbe a dire pubblicata - grazie a dei video che trovano posto sul web - possibilmente su youtube - ad annunciare l'opera che sarà. In effetti, il lancio di questi video coincide con la pubblicizzazione di un'opera che incontra così il suo pubblico per la prima volta. Si tratta di un momento di familiarizzazione ottica con una struttura che sarà poi fruita grazie al ri-corso dell'abitudine, secondo quel processo di natura tattile che Benjamin già nel saggio sulla riproducibilità del 936 ascrive alla ricezione nella distrazione.
Sono proprio le grandi opere a siglare con i render il trattato dell'esponibilità pubblica, affidandosi alle immagini in movimento quali medium di una esperienza futuribile affidata ad ologrammi che simulano una vita che scorre senza fretta. I render sono dunque misura di una utopia fatta di riproducibilità posta come modello della quotidianità. Di differenza nella ripetizione non c'è traccia: solo ripetizione identica a sè stessa, come non si addice ad un progetto architettonico: la necessità di sopperire alla staticità di un plastico con una narrazione affidata alle immagini in movimento evita ogni conato di immaginazione che pur si deve spendere nel relazionarsi con una ipotesi architettonica.
Col passaggio dal disegno architettonico all'immagine in movimento diventa maggiormente chiaro quel cambiamento nella percezione degli spazi che trova nel video una nuova configurazione. Se non a tutti è dato di leggere una pianta, una sezione è pur vero che tutti possono vedere un palazzo, una stazione, un ospedale se lo stesso si presenta nella misura di fotogrammi che scorrono: lo spettatore diventa visitatore inconscio di quella architettura, la attraversa al punto da poterne giudicare la funzionalità. In altre parole, partecipa della visione mentre prima ne restava estromesso.
La riscrittura della contemporaneità tramite render anticipa il riscontro di una realtà fatta di promesse e congruenze da mantenere. Ed è importante notare come le professionalità dell'architettura non si siano tirate indietro di fronte a questa nuova sfida posta all'immagine o, meglio ancora, all'immaginario architettonico: nel giro di un decennio la produzione di software dedicati ha inspessito l'offerta e sul mercato si trovano diverse proposte declinabili a seconda della professionalità dell'utente, da SketchUp a Rhinoceros. E non è eresia ammettere che siano proprio i clienti a cercare nel render una risposta ai loro interrogativi, un riscontro effettivo alle angosce di un'attesa che almeno si traduca in immagini. Può capitare infatti pretendano un risultato fotografico del futuro. Ed ecco che il lemma render diventa decisamente ampio accogliendo la fotografia in occasione di opere di committenza privata.
Il punto debole dei render resta il sonoro, così lontano dalla realtà da asservire meglio di ogni altro elemento l'estetizzazione degli spazi che questo tipo di politica delle immagini persegue. Insomma, l'avvento del render decide del nostro modo di percepire gli spazi prima che essi possano essere percepiti: a poche altre discipline, al momento, è toccata questa sorte ma non poteva non essere l'architettura a vantarne il primato, almeno cronologico.
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