Il disegno di legge riguardante la qualit architettonica che il Ministro
Urbani sta proponendo all'approvazione del Parlamento rappresenta una vera svolta
per il nostro paese. Al di l delle difficolt di natura logica
e teoretica relative alla definizione di una categoria estetica rigorosa, finalmente
ci si pone il problema di come promuovere e distinguere il lavoro degli architetti
seri da una pi generica moltitudine di costruttori edili non sempre attenti
alle virt delle loro creature.
Personalmente per non credo che questa legge, illustrata e promossa con
la molla di un conflitto un po' troppo innocente tra il "bello" e "il
brutto" - il "cattivo" verr dopo - possa risolvere di colpo
un problema che riguarda la societ prima ancora che l'architettura. Bruno
Zevi scrisse: "L'architettura il termometro e la cartina al tornasole
della giustizia e delle libert radicate in consorzio sociale. Decostruisce
le istituzioni omogenee del potere, della censura, dello sfascio premeditato e
progetta scenari organici." Difficile contestare una cos appassionata
definizione, capace di accendere la lampadina della comprensione anche presso
il pi sprovveduto dei cittadini. Quindi, nel disegno di legge Urbani,
qualcosa non combina.
Infatti, se si pensa di aver fatto male per anni, come si pu pensare di
far bene per decreto legislativo? Ma, soprattutto, dove sta il bene? Distruggendo
San Vittore? O il corviale? Avremo forse pi libert e democrazia?
questo il precetto della legge? E, se cos, questo paese
ha oggi una classe dirigente con forza morale e tensione etica necessarie per
farci capire e condividere ci che giusto - e quindi anche "bello"
- e ci che non lo tanto da meritare il rogo?
Una canzone di Giorgio Gaber, recentemente scomparso, dice: "non riempire
il futuro con gli ideali del passato" - frase che andrebbe scritta sopra
il campanello di ogni architetto- frase che comporta per il futuro il desiderio
di un cambiamento radicale e incondizionato. Ma, per paradosso, il cambiamento
ce lo propongono i conservatori di centrodestra, ovvero quelli che per scelta
ideologica e propensione morale ritengono che le cose debbano restare come sono,
oppure debbano cambiare tornando ad essere come erano.
E sono gli stessi conservatori che vorrebbero attribuire il giudizio sulla qualit
dell'architettura agli ordini professionali - che per primi sono stati e sono
responsabili della spartizione della torta dell'industria edilizia, senza distinzione
di qualit, di teoria o dottrina. Modernisti e postmodernisti, tradizionalisti
e avanguardisti, tutti indiscriminatamente sotto la stessa coperta senza nemmeno
la possibilit e la soddisfazione di mandarsi vicendevolmente e pubblicamente
a quel paese.
Mentre da un lato trovo naturale il mio disaccordo sulla definizione di qualit
dell'architettura che potrebbero esprimere Mario Botta o Paolo Portoghesi, dall'altra
dovrei rassegnarmi all'idea di destinare ad una istituzione concettualmente neutra
come l'ordine professionale il destino dell'architettura. Chi si assumerebbe la
responsabilit di scelte sbagliate? L'istituzione forse? La responsabilit
sempre e solo personale, ha bisogno di un nome e una faccia da mostrare
quando si sbaglia. Quando mai una istituzione - che per definizione qualcosa
che esiste senza che se ne possa discutere- potrebbe essere investita di una qualsivoglia
responsabilit?
Vedo molti ostacoli sulla strada di questa legge che avrebbe necessit
di un atteggiamento empirico, troppo distante del formalismo e dall'idealismo
della cultura giuridica italiana.
A meno che una seria riforma delle professioni, che azzeri le posizioni di privilegio
e tuteli effettivamente le idealit, quali esse siano, non trovi spazio
nelle strette maglie della rete di interessi di compagnia che la politica di questi
tempi sembra prediligere.
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