Luigi Prestinenza Puglisi propone, sulle pagine di Arca e sulla sua newsletter periodica, quindici punti per un manifesto della modernit da contrapporre al conservatorismo dilagante nel nostro paese. Condivido la posizione e la determinazione con cui lautore affronta un tema largamente diffuso ma pressoch ignorato e sconosciuto dal grande pubblico nei suoi aspetti culturali, saggiato e sponsorizzato nelle forme comuni della cultura della comunicazione (in particolare della pubblicit televisiva che ambienta i suoi messaggi dentro scenografie tradizionaliste) e profusamente discusso nei salotti dei benpensanti.
I quindici punti riguardano in particolare la superiorit del valore funzionale dellarchitettura rispetto alla maniera contemplativa con cui questa comunemente concepita. Quindi no alla mummificazione, al presepe e alla monumentalit. S, invece, ad un atteggiamento critico verso il luogo, nel senso di lettura della stratificazione storica e di scelta severa su cosa conservare e cosa no. (Tutto il testo disponibile a fondo pagina).
Due aspetti mi sembrano indicativi di una situazione come quella che il manifesto cos sono condensabili i quindici punti vuole combattere. Il primo concerne la necessit di acquisire il consenso necessario per poter riscattare culturalmente la modernit nel contesto di quella realt italiana che vorrebbe ogni gesto misurato sul contorno di una storia non sempre disposta, secondo il parere di chi vorrebbe tutelarla, a crescere e comprendere (nel senso di prendere dentro). Senza consenso, in sistemi che si dicono democratici ma che soffrono la tirannia dellinformazione di massa, nessuna intenzione pu sperare di realizzarsi e condizionare i meccanismi sociali da cui dipendono le trasformazioni. Sarebbe quindi importante che al manifesto aderissero, oltre gli architetti, pubblicitari, registi cinematografici, scenografi della televisione e quanti fanno per professione comunicazione per mezzo di immagini. Troppo spesso, la reazione pi efficace e influente alla proposizione del moderno, ha sede nei pregiudizi colti di persone insegnate al massimo livello ma totalmente estranee al modo della creativit e dellarte contemporanea, comunque pronte ad accogliere e gradire i messaggi e le immagini metabolizzate dellindustria culturale. E sufficiente notare le scenografie dei pi diffusi programmi televisivi (compresi quelli dichiaratamente colti come, per esempio, Superquark di Piero Angela) per comprendere la promozione e legittimazione del falso storicismo che poi dilaga nella realt sociale. False piazze e piazzette, colonnati, terrazzi e porticati dovrebbero convincere lo spettatore della legittimit circa limitazione e la riproposizione di modelli arcaici.
E qui vengo al secondo aspetto. Il divario che risulta tra quelli che sono i messaggi e i concetti della modernit in particolare dellarte figurativa contemporanea e chi dovrebbe fruirne, cio la maggioranza delle persone al di l del loro livello formativo e cognitivo, purtroppo ormai incolmabile. La comunicazione artistica ha raffinato talmente i suoi concetti e le sue utopie che, paradossalmente, diventata linguaggio comprensibile a pochi esercitati. Gli altri, orfani di una musa astratta e incomprensibile, preferiscono meglio sarebbe dire necessitano, visto il buco culturale che ne verrebbe rifarsi a un concetto artistico premoderno, nel quale larte concepita come rappresentazione, imitazione del reale o ad esso riferibile negli aspetti apparenti. In questottica, lastrazione funzionale bandita a scapito di modelli simbolici o semplici atti mimetici che hanno il vantaggio della rappresentanza figurativa rispetto alle astrazioni performative del moderno. Quindi facile la comprensione, facile la misura in virt di una fedelt al reale che richiede solo limpegno e la dote del comune senso della vista. In architettura, questo atteggiamento, data lassenza di modelli naturali ad essa direttamente riferibili, fa riferimento agli esempi della tradizione come se questi, in virt del tempo trascorso, fossero assimilati alle cose della natura. Data la distanza che ho riferito, ritengo ardua limpresa di promuovere lideale, cui Luigi Prestinenza Puglisi fa riferimento, senza il soccorso di una nuova disponibilit sociale verso il nuovo, secondo me improbabile nellattuale contesto di povert culturale dominante.
Sugli interventi nei Centri Storici: un manifesto in 15 punti
Viviamo tempi duri, anzi durissimi. Le Soprintendenze stanno mummificando i centri storici trasformandoli in piccole Disneyland, supportate da un'opinione pubblica sempre pi reazionaria e ipocritamente recalcitrante rispetto a qualsiasi innovazione visibile.
Cosa fare, allora? Ecco di seguito alcuni punti, scritti in ordine sparso che possono servire come traccia di discussione.
1: valore funzionale. In un periodo dove la cosmesi domina, occorre rivendicare la trasformazione effettiva dell'ambiente. Realizzare piazze senza parcheggi sotterranei non serve a nulla. Ricostruire musei che vengono visitati da poche centinai di persone non ha senso. Davanti alla desolante tristezza dei lampioncini aggiunti dall'assessore di turno dovremmo richiedere pi progettualit. La stessa che, per esempio, a suo tempo in Francia ha permesso di rimettere le mani al Louvre o alle collezioni dell'ottocento conservate al Museo d'Orsay. Di fronte all'intelligenza del programma funzionale, anche architetture mediocri o pessime - la piramide di Pei o i mortificanti vani della Aulenti-acquistano una loro dignit. Che senso ha, infatti, sottolineare, sia pure a ragione, che il Louvre stato rovesciato e il suo ingresso posto nel retrobottega, di fronte all'intelligenza di un programma cos forte di riorganizzazione di un museo per i bisogni di massa del nuovo secolo? Oppure criticare la Gare d'Orsay che diventato il pi importante museo dell'ottocento? Insomma: finiamola con le dispute su aspetti periferici e a volte marginali, per ritornare alla centralit dei programmi.
Programmi innovativi che anche i piccoli centri devono immaginare. Vorrei, in proposito citare un intervento di Vincenzo Latina a Siracusa, che eliminando incrostazioni e superfetazioni dell'edilizia esistente, liberando cortili e restituendoli alla fruizione pubblica, ritrova una strada che collega la parte alta di Ortigia con il mare e in tal modo arricchisce il nucleo storico di nuove relazioni urbane. Del progetto condivido in parte alcuni esiti formali, ma l'idea urbanistica talmente efficace che non pu non farci riflettere.
2: basta con la mummificazione. Conservare le scorze non serve. L'architettura non solo massa edilizia ma complessa interrelazione tra persona, ambiente e costruzione. Ridurla a un gioco di prospetti, ambienti e volumi un errore simile a quello dell'imbalsamatore che crede che una persona sia un insieme di parti anatomiche e non la vita che lo sostiene e caratterizza . Provate a ridisegnare a Roma una nuova mappa simile a quella del Nolli, cio con evidenziati gli spazi pubblici coperti o scoperti. Oggi dovreste levare le navate delle chiese e mettere gli spazi cavi dei negozi. Capireste che la struttura urbana del centro storico definitivamente cambiata, nonostante le ansie conservative di curatori e soprintendenze. O voi credete veramente che la San Gimignano di adesso, la Assisi di adesso, la Orvieto di adesso, nei loro usi attuali, abbiano qualche assonanza con i loro corrispettivi medioevali?
3:evitare i presepi. E' ipocrita chi vuole mascherare il vero proponendo della realt immagini false e consolatorie. Chi nasconde i procedimenti costruttivi. Chi crede che basta mettere un segno falso per rifarsi al passato. Osservate lampioni, cestini, edicole. Alludono a un tempo che non mai stato. Un presepe che simula una storia mai avvenuta, un tempo che solo la proiezione del voler essere: dove non c'erano tensioni e tutto era ordinato e pulito.
4: levare piuttosto che mettere. Se non si finir mai di parlar male delle Soprintendenze, ci non toglie che molti architetti intendano la libert di espressione come un lasciapassare per dare libero corso a un ego straripante, incurante di qualunque valore preesistente. Bisogna riconoscere che molte volte la cosa giusta fare poco, togliere piuttosto che aggiungere. Dobbiamo acquisire dal mondo dell'arte una consapevolezza meno oggettuale, capire che un intervento efficace pu ridursi a pochi gesti, spesso sottrattivi.
5: non disegnare. .Principio che deriva dal precedente. Osservate la gran parte delle piazze recentemente progettate dagli architetti e non potete non notare un eccesso di segni. Dettagli inutili, pavimentazioni eccessivamente arzigogolate. Troppo spesso il disegno l'arma spuntata alla quale ricorre chi non in grado di agire in altro modo. Segno di impotenza piuttosto che di trasformazione.
6: non costruire per l'eterno. .Perch fare polemiche infinite su progetti, magari non felici, ma certo non peggiori di ci che si proponevano di modificare? Il ponte di Cellini a Roma, la tettoia di Isozaki a Firenze, il museo di Meier, sempre a Roma. E poi le recenti polemiche sugli interventi di De Carlo e Gehry... Non si tratta di lotte per l'ultima spiaggia. Un progetto lo si dovrebbe valutare nel tempo. Teniamoli per venti, trent'anni e poi decidiamo se conservarli o meno per altrettanti.
7: valutare il luogo. .Non tutti i luoghi sono uguali. Dire centro storico significa poco e nulla. Certi ambienti hanno valore inestimabile, altri meno, altri nessuno. E' sciocco pensare di conservare gli errori del passato solo perch sono stati. Per non farne altri, occorre per chiamare i migliori progettisti del momento -che non sono necessariamente i pi famosi- valutandoli attraverso concorsi. Corollario: pi il luogo delicato, pi l'architetto deve essere bravo e l'intervento consapevole, quindi tolto di mano alle strutture burocratiche.
8: stratificare. .La storia sovrapposizione di eventi. Aspetti anche contraddittori purch dotati di senso sono un valore. La stratificazione permette di leggere l'antico senza falsificarlo, di affiancargli il moderno senza renderlo perenne. Lo si diceva prima, se tra trenta'anni ci accorgeremo che ci siamo sbagliati, si torner indietro. L'errore deve essere considerato una possibilit del gioco e quindi non lecito proporre interventi irreversibili. Su questi principi mi sembra che sia da recuperare la filosofia di restauro dell'indimenticabile Franco Minissi, oggi colpevolmente accantonata. E anche una brillante storia italiana che va dal museo di Castelvecchio di Carlo Scarpa alla manica lunga del Castello di Rivoli di Andrea Bruno, con protagonisti del calibro di Albini e Canali.
9: fine della politica del contenitore. .Non tutto pu contenere tutto. Edifici incompatibili con qualsiasi norma e standard sono il lascito di una politica che ha voluto conservare edilizia mediocre a qualsiasi costo. Occorre avere il coraggio di non accanirsi sui cadaveri, proponendo impossibili usi per pessimi edifici. Anche se con tutte le cautele del caso - cfr. quanto detto a proposito della reversibilit degli errori- dovremmo avere anche il coraggio di abbattere e ricostruire o di abbattere e basta. Corollario: controllare i costi. Restauri di decorazioni di scarso valore bruciano miliardi. Aveva senso riprendere tutte le mediocri decorazioni ottocentesche dell'Acquario di Roma quando con una bella imbiancata si sarebbe risolto il problema (se si voleva essere pignoli: si poteva salvare qualche campo e il resto lasciarlo alla cura di futuri archeologhi)?
10:lavorare sull'immateriale. .Uno spazio urbano lo si trasforma pi con un mutamento di destinazione d'uso che con cospicui interventi edilizi. La pedonalizzazione di una strada, l'immissione di un bar in una piazza, le bancarelle e le attivit di commercio parallele a quelle ufficiali, cambiano sino a stravolgerli, i connotati di un luogo. Non esagerato affermare che la vita dei centri storici, in bene e in male, stata resa possibile proprio dai cambiamenti funzionali che sono scappati di mano ai nostri conservatori. Riuscire a gestirli o indirizzarli, sia pure attraverso politiche intelligenti e non vincolative, sar una delle sfide dei prossimi anni.
11: evitare il finto provvisorio.. Decine di edifici sono deturpati da falsi interventi a carattere provvisorio che dureranno per secoli. Tra questi: scale di sicurezza, scivoli per handicappati, transenne. Ci rendiamo conto che si tratta di interventi funzionalmente essenziali che si sono potuti fare solo grazie all'ipocrita salvacondotto del provvisorio. Oggi bene smascherarlo e porsi obiettivi pi qualificati. Reversibilit dell'intervento non vuol dire finto provvisorio.
12: non feticizzare l'esistente.. Il feticismo porta all'esaltazione dell'oggetto indipendentemente dalla funzione. Alla riduzione a opera d'arte anche di ci che non lo . Da qui il prevalere della funzione contemplativa, la messa in custodia, la museificazione, la paura del contatto. Con i risultato che i monumenti sono isolati in gabbia, strappati alla vita urbana. Dimenticando che la gran parte dei reperti pu, senza alcun danno, essere oggetto di ordinaria e straordinaria manutenzione e che comunque la salvaguardia di un mattone antico o di un gradino di travertino non pu avvenire a scapito del suo uso.
13:il parassitismo. .Il centro storico non pu vivere a spese della restante citt, scaricando su questa i propri problemi. Non ha senso che esclusivamente nel centro trovino luogo le attivit politiche e di rappresentanza. Non pu diventare un'isola di evasione per politici pigri, istituzioni megalomani, privilegiati d'ogni sorta. Si noti, per tutti, in che modo le istituzioni pubbliche , Camera ,Senato, Ministeri hanno deturpato il centro storico di Roma con restauri pseudo-storicistici ai limiti dell'indecenza, carichi urbanistici insopportabili, facendo passare l'ottenimento di benefici per un servizio ai cittadini e contribuendo a mandare a monte il centro direzionale orientale.
Si osservi, per inciso, che quasi tutti i deputati hanno abitazione nel centro storico: casa e bottega.
Nei piccoli centri il parassitismo avviene quando il nucleo storico diventa l'unica immagine riconosciuta della citt. Vi si inseriscono tutte le attivit di pregio, avendo cura di sottrarle alla periferia ridotta a dormitorio. A San Marino , come ha ben documentato la mostra USE, appena si fa notte, il centro storico si spopola. Nella quasi generalit, le amministrazioni dei comuni italiani, invece di creare citt complesse, scelgono la strada pi idiota: valorizzare turisticamente i centri storici sovrappopolandoli di alberghi, ristoranti tipici, negozi tipici , centri congressuali, sedi dell'attivit municipale, svuotando di funzioni pregiate il resto della citt .
14: evitare mimesi e citazioni. .Inutile discutere su questo principio teorizzato anche da critici non in odore di eterodossia quale Cesare Brandi. Al massimo lecito utilizzare uno storicismo di comodo quale grimaldello per ottenere permessi e prendere in giro i conservatori: come ha fatto -speriamo con ironia- Renzo Piano che ha dichiarato che i mouse dell'auditorium erano rivestiti in piombo per ricordare le antiche cupole romane. In genere queste affermazioni passano: infatti coloro che custodiscono la storia centimetro per centimetro e bazzicano per le accademie, di regola, sono coloro che la conoscono meno. Desidererei, tuttavia, sottolineare due interventi coraggiosi e intelligenti, affidati dalle Soprintendenze a progettisti esterni. Il primo ai mercati di Traiano a Roma, opera di Riccardo d'Aquino e Luigi Franciosini e di Nemesi, l'altro in una piazza di Cosenza opera di Marcello Guido. Pur nella diversit di approccio, sulla quale credo debba discutersi criticamente per valutare se e quando opportuno un approccio pi o meno invasivo, dimostrano che esiste una speranza, che ancora c' un barlume di vita all'interno delle strutture preposte alla tutela del nostro patrimonio.
15:combattere per i principi.. Bisogna far valere la propria integrit professionale. Abbandonare un progetto valido e coraggioso solo perch tarda a ottenere il nulla osta, da parte di Sovrintendenze sempre pi conservatrici e riluttanti, una pratica che alla lunga ci si ritorcer contro, conferendo a chi ha potere di vincolo una influenza enorme, spropositata rispetto alla sua effettiva capacit propositiva. Conosco progettisti che hanno tenuto duro, attivando tutti gli strumenti legali per ottenere tutela dagli abusi di coloro che volevano imporre logiche scioccamente conservative, e alla fine l'hanno vinta. Dicono gli americani: if a principle is worth having, it's worth fighting for. Se un principio ha valore, allora ha valore lottare per sostenerlo.
(Luigi Prestinenza Puglisi)
|
|