La prima impressione che viene dalla visita alla ottava biennale di architettura quella di assistere al definitivo dissolvimento di ogni velleit accademica, dal rimasticamento storicista alla falsificazione postmoderna. Senza pre e post, piaccia o non piaccia, la modernit (quella delle tanto diffamate avanguardie) ha vinto e si propone con la forza del contrassegno espressivo. Il che, di per s, non una novit assoluta. Lo da noi, in Italia, dove, dopo la virtualit della scorsa edizione che ha insinuato in molti il dubbio dellutopia, si ha prova concreta della consistenza dei progetti e dei cantieri. Punto e a capo.
Detto questo restano i ma e i forse. Restano le considerazioni che, se non vivessimo in un paese nel quale lindifferenza e lignoranza verso larte e larchitettura sono inversamente proporzionali al numero di monumenti che la storia ha consegnato, dovrebbero svelare le intenzioni degli organizzatori ai quali va riconosciuto limpegno per il robusto e consistente materiale proposto.
I ma riguardano la prudenza con cui si voluta addomesticare la condizione di disagio creativo che ha infuso e continua a ispirare le architetture pi attuali. Il malessere evidente, coinvolgente, appassionante e sicuramente fertile. Ma sta nei progetti e nelle architetture pi che nel modo con cui sono esposte. Il racconto che le tiene insieme disunito, cerimonioso, addirittura conciliante, come se si volesse propinare bile dentro uno sciccoso bicchiere di cristallo. Questo certamente irriter i tromboni del bel paese, perch li priver del collettivo turbamento al quale, dalle pagine dei pi prestigiosi giornali nazionali, hanno spesso fatto ricorso per resuscitare il peggiore dei sensi del pudore. In fondo, se adeguatamente digerite, anche le forme stortignaccole non mordono pi di tanto e tolgono al sicofante almeno i bocconi pi gustosi, costringendolo perlomeno a cercare argomenti di sostanza.
E di sostanza avrebbero modo di parlare, perch non si espongono torri come lampade da tavolo, cubotti sponsorizzati per disagiati fichetti e, soprattutto, non lecito resuscitare la tipologia per rendere la vita facile ai veneratori del catalogo.
Ma di altra sostanza vorrei parlare. Next, che il titolo della mostra, non mi piace. Non mi piace perch questa una mostra prudente, che frena, che non accelera, proprio per i motivi che ho detto prima. Se il dopo dellarchitettura questo ci dobbiamo aspettare lunghi anni di cauta assimilazione, di prudente camminata verso un rinnovato perbenismo culturale e sociale, di una replica stravista della pausa dopo la tempesta, e tutto questo, onestamente, non mi piace. Stiamo a mezzo di un fiume in piena e non mi pare il caso di sedersi per mostrare agli sfamati che tutto come prima.
Tra laltro, oggi, lundici settembre e il cinismo che viene alla memoria rinnova i propositi dellanno scorso verso un impegno parecchio distante dal conforto dei salotti del buon gusto.
Questo impegno, questi propositi, in biennale non ho visto.
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