Vampate Architettoniche

Storia e Critica

Vampate Architettoniche


di Sandro lazier
4/8/2001

Chi non crede agli influssi della calura sulla neuropatologia umana dovrebbe ricredersi. Vicino a casa mia c'è gente che giura di aver visto tigri del bengala in mezzo alle vigne, ma i giornali non lo scrivono perché non fa notizia.
Fanno invece notizia le sparate di più illustri visionari che il caldo costringe a spogliarsi, oltre che degli abiti, dei freni inibitori necessari per stare impettiti nei salotti della sedicente cultura nazionale.
Prendete Vittorio Sgarbi, per esempio. Quando lo sento o vedo mi torna in mente Eraclito che, più o meno, così diceva: "Non bisogna confondere la cultura con l'erudizione, sennò sarebbe colto anche uno come Pitagora". Le sue ultime esternazioni in fatto di architettura sono perentorie. Egli dice: nei centri storici si costruisce in stile, nelle periferie, che già fanno schifo, si può fare il moderno. Si potrebbe addirittura tentare di recuperarne in parte l'immagine, magari chiamando quel "unto dal Signore" Max Fuksas, il quale è un poeta perché parla male della sinistra e perché inscatola nuvolette che tracopia viaggiando in Renault. Ovviamente distinguendolo da Manzoni, che invece inscatolava merda e votava a sinistra.
La perspicacia unita al rigore del pensiero sgarbiano ricorda il cartesianesimo: concetti chiari e distinti. Chiari perché una simile riduzione logica la capirebbe anche una scimmia ammaestrata; distinti perché la categoria dei sapienti non va confusa e mescolata con quella dei colti. Se il colto è di sinistra, il sapiente è di destra, sembra suggerire il viceministro Sgarbi, e la sapienza è conoscenza storica, tradizione che si alimenta nel passato e traccia per noi la gloriosa strada di un futuro passatista.
Bene, a Genova per il G8 abbiamo tollerato un Presidente Arredatore, sopporteremo un Viceministro Rigattiere e le sue crociate per il recupero del comò.
Meno sopportabile, invece, è il tormentone che il gesuita Gregotti ci propina dalle testate dei quotidiani amici per contestare le spacconate estive di un grossolano Fuksas in vena di caotiche sublimazioni.
Il buon Gregotti, recuperato tutto l'armamentario rococò della pianificazione, si erge a difesa della modernità ortodossa. Dopo aver inscatolato, anche lui, i suoi simili per decenni e dopo aver disposto ognuno ordinatamente nella sua bella celletta, vuol convincerci che senza la luce della ragione pura, senza il rigoroso controllo del progetto, senza la riduzione formale, la pianificazione controllata e la semplificazione dei modelli, non c'è posto per la libertà e per il riscatto sociale. Vuole convincerci che la nostra vita sta nel rigore ortogonale delle righe di un tecnigrafo più che nel gesto liberatorio di una spiline digitale. Vuol farci capire che l'architettura non è gioco, che è cosa seria, che se volete andare dalla cucina al salotto non è il caso che perdiate il vostro tempo in percorsi che non servono nulla. Questa è una società fondata sul lavoro, mica sul trastullo! La vera libertà è quella di andare a lavorare non quella di distrarsi divertendosi. Se poi, lavorando, riuscite pure a divertirvi, il vostro non è un lavoro serio e non va preso in considerazione.
Se non è controriforma questa!?
Infatti, Lutero e la stampa nacquero in Germania, non certo nell'Italia papalina. L'informatica nasce negli USA, come Gehry ed Eisenman, non certo nell'Italia gregottiana dello stilizzato razionalismo milanese.
Un tipo tosto come Terragni si spaccò la testa per tutta la vita dentro un rettangolo per liberarsi dei limiti dello schematismo dei modelli razionali già in crisi appena nati. Gregotti si sta sgolando per richiamare tutta l'architettura della modernità dentro lo stesso rettangolo, confine ideologico oltre il quale non riesce a immaginare e condividere praticamente nulla.
Ebbene, uno del calibro e dalle ambizioni tante, se la prende perché un Max in versione nouvelle cuisine dice che la colpa dei disastri architettonici è tutta dei pianificatori di sinistra.
Ma come si fa a rispondere e prendersela per una simile idiozia?
Lo sanno benissimo tutti che il fallimento urbanistico italiano ha arricchito migliaia di speculatori di destra e di sinistra, Presidente del Consiglio compreso, che hanno fatto le loro fortune sull'ambiguità e l'arbitrio che governa giuridicamente il regime dei suoli pubblici e privati.
Sanno tutti, e se non lo sanno gli viene insegnato da bambini, che se si è furbi e ostinati un retino sulla mappa comunale può cambiare la vita.
Cosa c'entrino l'urbanistica, la destra e la sinistra, il sopra e il sotto in questa sorta di mercato delle patate d'oro, qualcuno dovrebbe spiegarmelo.
Personalmente da vent'anni combatto l'idea di plannig e le sue applicazioni formali e burocratiche. Ho anche pagato di persona quando ho espresso le mie idee e perplessità pubblicamente, punito da un'amministrazione di centro sinistra per aver chiamato "neopalazzinari" un paio di costruttori che ora votano il centro destra. Ho più volte scritto per provocazione proponendo che sarebbe meglio tirare a sorte lo sviluppo urbanistico, magari con i dadi, come faceva il giudice in Gargantua et Pantagruel per dirimere le cause complicate dove tutti avevano le loro ragioni e tutti i loro torti, affidando alla giustizia del caso le fortune degli individui. Ho scritto che, essendo l'architettura un linguaggio con il quale ognuno è libero di esprimere la propria condizione e coscienza, occorrono argomenti particolarmente robusti per imporre al prossimo frasi e parole, ciò che si può dire e ciò che non si può. Occorrono pensieri forti e prepotenti per stabilire che può parlare solo la lingua conciliante della retorica e dei congiuntivi escludendo quella sincopata e imperfetta del disagio. Infine, ho più volte sostenuto che la poesia architettonica, unico riscatto possibile della convivenza, non abita nelle scuole e negli ordini professionali, tutori di un sistema feudale parassitario.
Quando esprimevo le mie opinioni ad un uomo di destra mi definiva anarchico di sinistra. Quando le stesse le dicevo al suo collega di sinistra mi definiva liberista di destra. Soffro di un'identità ballerina perché in Italia non c'è liberalismo né socialdemocrazia. Destra e sinistra italiane hanno radice comune nell'idealismo egheliano, una teoria pigliatutto che tratta l'individuo come l'ultima rotellina di una monumentale macchina immaginaria, dove gli uomini, per dirla con Popper, "non sono che carbone nella locomotiva della storia". Qualsiasi italiano, per storia e cultura, chiede libertà per sé, ma detesta quella del suo vicino. Nel paese dello storicismo e del fascismo non c'è posto per il primato della persona, per la centralità dell'individuo. C'è posto solo per servitori ubbidienti e disciplinati a cui non mancherà la ricompensa. E' così che il servo della più sciocca delle corporazioni ha più potere del più nobile dei singoli. Siamo, per concludere, un paese dove, paradossalmente, si sprecano e si inventano nuove parole tutti i giorni: il più squallido compromesso di categoria sopra la testa delle persone qui si chiama pomposamente concertazione.
Max Fuksas dice che l'ordine è di sinistra e il caos di destra? Ma sì, a quaranta gradi all'ombra va bene tutto, compreso il caos che ha in testa il buon Max.

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