Chi non crede agli influssi della calura sulla neuropatologia
umana dovrebbe ricredersi. Vicino a casa mia c'è gente che giura
di aver visto tigri del bengala in mezzo alle vigne, ma i giornali non
lo scrivono perché non fa notizia.
Fanno invece notizia le sparate di più illustri visionari che il
caldo costringe a spogliarsi, oltre che degli abiti, dei freni inibitori
necessari per stare impettiti nei salotti della sedicente cultura nazionale.
Prendete Vittorio Sgarbi, per esempio. Quando lo sento o vedo mi torna
in mente Eraclito che, più o meno, così diceva: "Non
bisogna confondere la cultura con l'erudizione, sennò sarebbe colto
anche uno come Pitagora". Le sue ultime esternazioni in fatto di
architettura sono perentorie. Egli dice: nei centri storici si costruisce
in stile, nelle periferie, che già fanno schifo, si può
fare il moderno. Si potrebbe addirittura tentare di recuperarne in parte
l'immagine, magari chiamando quel "unto dal Signore" Max Fuksas,
il quale è un poeta perché parla male della sinistra e perché
inscatola nuvolette che tracopia viaggiando in Renault. Ovviamente distinguendolo
da Manzoni, che invece inscatolava merda e votava a sinistra.
La perspicacia unita al rigore del pensiero sgarbiano ricorda il cartesianesimo:
concetti chiari e distinti. Chiari perché una simile riduzione
logica la capirebbe anche una scimmia ammaestrata; distinti perché
la categoria dei sapienti non va confusa e mescolata con quella dei colti.
Se il colto è di sinistra, il sapiente è di destra, sembra
suggerire il viceministro Sgarbi, e la sapienza è conoscenza storica,
tradizione che si alimenta nel passato e traccia per noi la gloriosa strada
di un futuro passatista.
Bene, a Genova per il G8 abbiamo tollerato un Presidente Arredatore, sopporteremo
un Viceministro Rigattiere e le sue crociate per il recupero del comò.
Meno sopportabile, invece, è il tormentone che il gesuita Gregotti
ci propina dalle testate dei quotidiani amici per contestare le spacconate
estive di un grossolano Fuksas in vena di caotiche sublimazioni.
Il buon Gregotti, recuperato tutto l'armamentario rococò della
pianificazione, si erge a difesa della modernità ortodossa. Dopo
aver inscatolato, anche lui, i suoi simili per decenni e dopo aver disposto
ognuno ordinatamente nella sua bella celletta, vuol convincerci che senza
la luce della ragione pura, senza il rigoroso controllo del progetto,
senza la riduzione formale, la pianificazione controllata e la semplificazione
dei modelli, non c'è posto per la libertà e per il riscatto
sociale. Vuole convincerci che la nostra vita sta nel rigore ortogonale
delle righe di un tecnigrafo più che nel gesto liberatorio di una
spiline digitale. Vuol farci capire che l'architettura non è
gioco, che è cosa seria, che se volete andare dalla cucina al salotto
non è il caso che perdiate il vostro tempo in percorsi che non
servono nulla. Questa è una società fondata sul lavoro,
mica sul trastullo! La vera libertà è quella di andare a
lavorare non quella di distrarsi divertendosi. Se poi, lavorando, riuscite
pure a divertirvi, il vostro non è un lavoro serio e non va preso
in considerazione.
Se non è controriforma questa!?
Infatti, Lutero e la stampa nacquero in Germania, non certo nell'Italia
papalina. L'informatica nasce negli USA, come Gehry ed Eisenman, non certo
nell'Italia gregottiana dello stilizzato razionalismo milanese.
Un tipo tosto come Terragni si spaccò la testa per tutta la vita
dentro un rettangolo per liberarsi dei limiti dello schematismo dei modelli
razionali già in crisi appena nati. Gregotti si sta sgolando per
richiamare tutta l'architettura della modernità dentro lo stesso
rettangolo, confine ideologico oltre il quale non riesce a immaginare
e condividere praticamente nulla.
Ebbene, uno del calibro e dalle ambizioni tante, se la prende perché
un Max in versione nouvelle cuisine dice che la colpa dei disastri
architettonici è tutta dei pianificatori di sinistra.
Ma come si fa a rispondere e prendersela per una simile idiozia?
Lo sanno benissimo tutti che il fallimento urbanistico italiano ha arricchito
migliaia di speculatori di destra e di sinistra, Presidente del Consiglio
compreso, che hanno fatto le loro fortune sull'ambiguità e l'arbitrio
che governa giuridicamente il regime dei suoli pubblici e privati.
Sanno tutti, e se non lo sanno gli viene insegnato da bambini, che se
si è furbi e ostinati un retino sulla mappa comunale può
cambiare la vita.
Cosa c'entrino l'urbanistica, la destra e la sinistra, il sopra e il sotto
in questa sorta di mercato delle patate d'oro, qualcuno dovrebbe spiegarmelo.
Personalmente da vent'anni combatto l'idea di plannig e le sue applicazioni
formali e burocratiche. Ho anche pagato di persona quando ho espresso
le mie idee e perplessità pubblicamente, punito da un'amministrazione
di centro sinistra per aver chiamato "neopalazzinari" un paio
di costruttori che ora votano il centro destra. Ho più volte scritto
per provocazione proponendo che sarebbe meglio tirare a sorte lo sviluppo
urbanistico, magari con i dadi, come faceva il giudice in Gargantua
et Pantagruel per dirimere le cause complicate dove tutti avevano
le loro ragioni e tutti i loro torti, affidando alla giustizia del caso
le fortune degli individui. Ho scritto che, essendo l'architettura un
linguaggio con il quale ognuno è libero di esprimere la propria
condizione e coscienza, occorrono argomenti particolarmente robusti per
imporre al prossimo frasi e parole, ciò che si può dire
e ciò che non si può. Occorrono pensieri forti e prepotenti
per stabilire che può parlare solo la lingua conciliante della
retorica e dei congiuntivi escludendo quella sincopata e imperfetta del
disagio. Infine, ho più volte sostenuto che la poesia architettonica,
unico riscatto possibile della convivenza, non abita nelle scuole e negli
ordini professionali, tutori di un sistema feudale parassitario.
Quando esprimevo le mie opinioni ad un uomo di destra mi definiva anarchico
di sinistra. Quando le stesse le dicevo al suo collega di sinistra mi
definiva liberista di destra. Soffro di un'identità ballerina perché
in Italia non c'è liberalismo né socialdemocrazia. Destra
e sinistra italiane hanno radice comune nell'idealismo egheliano, una
teoria pigliatutto che tratta l'individuo come l'ultima rotellina di una
monumentale macchina immaginaria, dove gli uomini, per dirla con Popper,
"non sono che carbone nella locomotiva della storia". Qualsiasi
italiano, per storia e cultura, chiede libertà per sé, ma
detesta quella del suo vicino. Nel paese dello storicismo e del fascismo
non c'è posto per il primato della persona, per la centralità
dell'individuo. C'è posto solo per servitori ubbidienti e disciplinati
a cui non mancherà la ricompensa. E' così che il servo della
più sciocca delle corporazioni ha più potere del più
nobile dei singoli. Siamo, per concludere, un paese dove, paradossalmente,
si sprecano e si inventano nuove parole tutti i giorni: il più
squallido compromesso di categoria sopra la testa delle persone qui si
chiama pomposamente concertazione.
Max Fuksas dice che l'ordine è di sinistra e il caos di destra?
Ma sì, a quaranta gradi all'ombra va bene tutto, compreso il caos
che ha in testa il buon Max. |